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Sabato, 13 Febbraio 2016 20:23

DIO, LE ONDE GRAVITAZIONALI E L'ATEISMO

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La recente scoperta dell’esistenza delle “onde gravitazionali”, cui anche gli scienziati italiani hanno dato un contributo importante, ha dato conferma delle ipotesi di Albert Einstein (1879 – 1955) circa la teoria della relatività generale che hanno rivoluzionato le conoscenze intorno alla creazione del mondo e dell’uomo.

La Fisica è la disciplina che studia tutto ciò che accade nel mondo che ci circonda, dalla meccanica all’idraulica, dall’elettrologia al magnetismo, dall’astrofisica all’astronautica, dall’energia nucleare alla fisica quantistica e via analizzando.

ONDE GRAVITAZIONALI

Modello di rappresentazione dell'universo e l'effetto della scoperta


Gli scienziati che più hanno studiato l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, hanno sempre avuto davanti, oltre alle loro ipotesi scientifiche, anche l’altra grande ipotesi, o domanda: “Ma Dio esiste? Questo mondo che noi studiamo e nel quale facciamo scoperte sempre più importanti per conoscerlo nelle leggi che lo governano, è stato creato da qualcuno o si è creato da solo?”
Non vi racconto in questa riflessione le conversioni all’esistenza di Dio creatore da parte di numerosi scienziati, soprattutto negli ultimi anni. Scienziati, in particolare, che hanno rivoluzionato le conoscenze delle leggi che governano il mondo che ci circonda: fisici, biologi, chimici, medici, neuroscienziati, psicologi, psichiatri, ecc.. Desidero soltanto portare alla vostra attenzione il pensiero di Albert Einstein, di religione ebraica, intorno alla risposta che lui ha tentato di dare a quella domanda.

einstein

Albert Einstein in un'immagine nel suo studio

È necessario fare una premessa di carattere culturale riguardo a queste scoperte. Vedete, tutti noi sappiamo, per le conoscenze che abbiamo acquisito negli anni, come il mondo della Scuola, dei Giornali, delle Radio e delle Televisioni, sia pervaso quasi totalmente dall’ateismo militante e dall’avversione viscerale verso tutto ciò che parla di Dio e delle religioni. Il 90% degli insegnanti del nostro sistema scolastico, dalle elementari all’università, è di formazione atea o agnostica, gli studenti e i laureati che escono da questo sistema e che affrontano la vita sono a loro volta vittime di questo impianto culturale. Il vuoto di senso della vita che pervade queste persone lo vediamo nei loro atteggiamenti e nel loro lavoro: molte energie votate alla derisione e all’offesa di chi ha una fede nel Dio creatore.
Pensate solo a ciò che scrivono certi giornali e alle trasmissioni radio-televisive, a ciò che gira nei social network: una continua dissacrazione degli argomenti di carattere religioso con l’intento manifesto di sradicare il più possibile la fede nel trascendente, innanzi tutto se di origine cattolica.
Ebbene, vediamo insieme, ora, il pensiero di Albert Einstein intorno a questo tema, partendo proprio dalle sue teorie rivelatesi finora vere e scoperte in gran parte dopo la sua morte dalla Fisica sperimentale, e che hanno rivoluzionato non solo le conoscenze scientifiche ma anche e soprattutto il nostro modo di vivere nella quotidianità.
C’è un aspetto che sfugge in tutta questa vicenda sulla scoperta delle onde gravitazionali. Il media system in questi giorni non ha dato alcuna rilevanza a un fatto che Einstein riteneva assolutamente sorprendente e cioè che la mente umana, tramite equazioni matematiche, sia in grado di ipotizzare l’esistenza di fenomeni fisici mai visti e il fatto che la realtà fisica dell’universo mostri di essere stata “costruita” proprio così, con perfetta razionalità matematica.
La matematica è una costruzione della mente umana, e allora, come è possibile che un’equazione astratta costruita dalla nostra intelligenza si ritrovi poi esattamente riprodotta nelle leggi fisiche che governano l’universo: dalla nostra Terra alle galassie lontane milioni di anni luce?
Il Cosmo (in greco sarebbe l’Universo creato) non è stato certo prodotto dall’uomo, però è governato dalle ferree leggi matematiche elaborate dalla mente dell’uomo, questo fatto è stato dichiarato un “miracolo” proprio da Einstein che ne era immensamente stupefatto. Nella famosa lettera al filosofo e matematico Maurice Solovine nel 1952 gli scriveva così: “Lei trova strano che io consideri la comprensibilità della natura come un miracolo o un eterno mistero. Ebbene, ciò che ci dovremmo aspettare, a priori, è proprio un mondo caotico del tutto inaccessibile al pensiero. Ci si potrebbe aspettare che il mondo sia governato da leggi soltanto nella misura in cui interveniamo con la nostra intelligenza ordinatrice: sarebbe un ordine simile a quello alfabetico, del dizionario, laddove il tipo d’ordine creato ad esempio dalla teoria della gravitazione di Newton ha tutt’altro carattere. Anche se gli assiomi della teoria sono imposti dall’uomo, il successo di una tale costruzione presuppone un alto grado d’ordine del mondo oggettivo, e cioè un qualcosa che, a priori, non si è per nulla autorizzati ad attendersi. È questo il miracolo che vieppiù si rafforza con lo sviluppo delle nostre conoscenze. È qui che si trova il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, felici solo perché hanno la coscienza di avere, con pieno successo, spogliato il mondo non solo degli dèi, ma anche dei miracoli”
In perfetta consonanza con Einstein, un altro premio Nobel per la Fisica nel 1974, Antony Hewish, astronomo ha affermato: “Dall’osservazione scientifica arriva un messaggio molto chiaro. E il messaggio è questo: l’universo è stato prodotto da un essere intelligente”.
Proprio queste affermazioni ci autorizzano a parlare della certezza razionale dell’esistenza di Dio.
Un altro tassello va aggiunto. Il più importante filosofo dell’ateismo contemporaneo, Antony Flew (1923 – 2010), proprio grazie a Einstein, in suo lavoro nell’anno 2004, ha rinnegato l’enorme mole delle sue ricerche precedenti, proclamando la certezza razionale dell’esistenza di Dio creatore. Così scriveva: <<Einstein credeva chiaramente in una fonte trascendente della razionalità del mondo, che definì variamente: "mente superiore", "spirito superiore illimitabile", forza ragionante superiore", forza misteriosa che muove le costellazioni">>.

il bambino di einstein

Il bambino curioso di Einstein 

È la conferma di quanto la Chiesa cattolica ha affermato nel Concilio Vaticano Primo: l’uomo con la semplice intelligenza può arrivare alla certezza dell’esistenza di Dio.
Certamente la fede cristiana è altra cosa, è la Rivelazione dell’incarnazione del Figlio di Dio, Gesù, ma alla certezza razionale dell’esistenza di Dio si può arrivare con la semplice ragione, basti pensare al più grande filosofo dell’antichità: Aristotele, e alla più grande mente della modernità: Einstein.
Che cosa non c’è stato in Albert Einstein? È mancato l’incontro cristiano, cioè il momento in cui; grazie ad un avvenimento preciso, per aiuto dello Spirito e per libertà personale, dice la Chiesa; l’uomo prende in seria considerazione il fatto che quel Dio così evidente, ma così lontano, si sia voluto rivelare agli uomini. Ancora, il più importante esponente dell’ateismo scientifico degli ultimi anni, Antony Flew, convertitosi nel 2004 arrivava ad intuire questo: «Certamente la figura carismatica di Gesù è così speciale che è sensato prendere in seria considerazione l’annuncio che lo riguarda. Se Dio si è davvero rivelato è plausibile che lo abbia fatto con quel volto». Einstein, per le circostanze della sua vita, non è invece arrivato fino a qui, ma tuttavia in una intervista del 1929 ha commentato: «Nessuno può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito di una tale vita».
Un altro pensiero di Einstein ci aiuta a comprendere in profondità il pensiero che lo animava: “Non sono ateo e non credo di potermi definire panteista. Sono nella stessa posizione di un bambino che entra in un’enorme biblioteca piena di libri scritti in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Non si sa come, non si comprendono le lingue in cui sono stati scritti. Il bambino sospetta vagamente un ordine misterioso nella collocazione dei libri, ma non sa quale sia. Questo, mi pare, è l’atteggiamento anche del più intelligente degli essere umani nei confronti di Dio”.
Da questo si comprende la sua posizione di scienziato: “Voglio sapere come Dio ha costruito questo mondo .... Voglio conoscere i suoi pensieri”.
Atteggiamento stupendo e profondo che solo uno scienziato libero da schemi ideologici può manifestare, e che solo in questo modo è in grado di realizzare ipotesi teoriche e sperimentarle in laboratorio per conoscere le chiavi del funzionamento dell’universo.
Una posizione opposta a quella di certi divulgatori mediatici di oggi, e molto gettonati dalle televisioni e dai giornaloni della cultura massonica-anticlericale, tuttora aderenti all’ottocentesca ideologia positivista e quindi allergici alla parola “Dio”. Uno scienziato libero da quel pattume polveroso di pregiudizi ideologici non può che arrivare alle conclusioni razionali di Einstein.
Il caso Einstein spiega perché un altro grande scienziato, profondamente cattolico, Louis Pasteur, fondatore della microbiologia, poteva dire: “Poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui”.
Ecco, ritengo di aver fatto opera di chiarezza sull’approccio corretto di chiunque si occupi di scienza, impariamo dal bambino di Einstein e diamoci da fare per capire la lingua con la quale Dio creatore ha costruito questo universo che l’uomo non finirà mai di esplorare.

VIRGO in provincia di pisa per le onde gravitazionali

Vista dell'impianto VIRGO nei pressi di Pisa dove sono state fatte le scoperte 

DIRITTI UMANI 3

I punti salienti di questa relazione sono centrati sulla genesi della Dichiarazione dell'ONU del 1948, e sull'origine della Dichiarazione di Parigi del 1981 dove venne redatta la Carta dei Diritti dell'Uomo nell'Islam.
Prima , però, è opportuno fare alcune precisazioni.

La prima: è indispensabile che le comunità cristiane imparino a conoscere l'Islam, perché buona parte dei problemi sociali che fra qualche anno non saranno più eludibili richiederanno, per la soluzione, l'apporto di persone di fede abituate a lavorare e a vivere proiettate nella speranza e promotrici di carità.
La seconda: i musulmani non sono migliori o peggiori dei cristiani, come uomini di fede. Sono soltanto diversi, hanno basi culturali variegate a seconda dei paesi di provenienza.
La terza: come ricercatore che applica la metodologia della Statistica all'analisi dei fenomeni, non proporrò giudizi di valore sui risultati della ricerca, ma tenterò di dare a ciascuna persona che mi legge, gli elementi per poter fare delle valutazioni, secondo la propria esperienza umana.

Ognuno di noi è il risultato della propria storia, quello che vi chiedo è uno sforzo culturale, e cioè dovete abituarvi a guardare ai fenomeni che ci interrogano non con le chiavi della ideologia ma con quelle della storia. Questo sito  non è una scuola di un partito politico, siamo alla scuola del Vangelo, Cristo ci ha insegnato a esercitare la carità anche con quelli che sbagliano.
Dobbiamo essere consapevoli della forza psicologica e morale del Vangelo. Ai tempi dell'Impero Romano i cristiani hanno convertito intere popolazioni di barbari che pensavano a tutto fuorché a un Dio come Padre che ama i suoi figli, anche quando gli si rivoltano contro.
Ecco, questa deve essere la nostra disponibilità.
Ed è un impegno gravosissimo, sia per i riflessi nella nostra vita privata, sia per la vita delle nostre società occidentali.

ORIGINE DELLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

Vediamo una sintesi degli articoli più importanti per questa occasione:

Art. 1: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Art. 3: Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona.
Art. 18: Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.
Art. 19: Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto a non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Ricordo che tale Dichiarazione è stata votata da tutti gli Stati con esclusione dell'Arabia Saudita, del Sudafrica e di sei Paesi comunisti, Unione Sovietica compresa.

È importante partire da questi semplici articoli per risalire all'origine della filosofia che ha portato a questa dichiarazione. Per farlo in modo efficace è necessario partire dalla Rivoluzione Americana e dalla Dichiarazione d'Indipendenza del 1776.
Il 4 luglio 1776, il Congresso di Filadelfia approvò la Dichiarazione che proclamava: "Noi riteniamo che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono dal Creatore dotati di certi inviolabili diritti, che fra questi diritti sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità".
Essa affermava inoltre il diritto dei popoli alla rivoluzione quando il sovrano calpestava questi diritti: "Ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla ed istituire un nuovo governo fondato su tali principi".

Pur con i suoi limiti, la Dichiarazione ebbe un'importanza ed un eco enorme. Per la prima volta dopo secoli di assolutismo nasceva uno Stato fondato sul rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e della sovranità popolare.
È molto utile, nel contesto di questa esposizione, che ci fermiamo un momento sulla Rivoluzione Americana anche per metterla in relazione con la Rivoluzione Francese che si verificherà qualche anno dopo, nel 1789.
Quella Americana nasce per cause intimamente connesse con l'esperienza coloniale e con la Costituzione inglese ma con pochi legami con le cause della Rivoluzione francese. Gli Stati americani si sono affrancati dal colonialismo britannico con la loro guerra di indipendenza, si sono liberati dal giogo oppressivo della Corona inglese che li tartassava con le imposte fiscali, ed è stata tutto sommato una guerra di liberazione.

La Rivoluzione francese è stata un fenomeno molto diverso, come quella russa che la seguì. Queste sono state rivoluzioni filosofiche, o, come si usa dire oggi con grande precisione, rivoluzioni ideologiche, sconvolgimenti catastrofici nel senso che il termine ha oggi. I loro obiettivi erano illimitati perché utopistici; le loro conseguenze sono state proprio il contrario di ciò che i promotori originari si aspettavano da esse.
Sarebbe utile per chi volesse approfondire questi aspetti rileggere gli scritti di Alexis de Tocqueville e di Hippolyte Taine sulla Rivoluzione francese, e di Aleksandr Solzhenitsin e di Igor Safarevic per la rivoluzione bolscevica.
Fyodor Dostoievski con una analisi finissima e profonda sulla rivoluzione francese affermava che:"Iniziare con la libertà illimitata, significa terminare con il dispotismo illimitato".

Infatti, mentre la Rivoluzione americana ha generato la democrazia in senso occidentale, la Rivoluzione francese ha generato le dittature. Il Giacobinismo di Robespierre è stato il modello di tutte le dittature sanguinarie che si sono succedute.
Le rivoluzioni recenti hanno ridotto metà del mondo alla schiavitù del corpo e della mente e all'estrema povertà. In Etiopia, nello Zaire (Congo), in Cambogia, a Timor e in altri cinquanta paesi della Terra.

Quello che colpisce, e su questo porto la vostra attenzione, è il fatto che nella Dichiarazione americana viene citato Dio, come il Creatore del quale tutti gli uomini sono figli. Negli Stati Uniti, ancora oggi il Presidente invoca la benedizione di Dio sull'America, giura sulla Bibbia, la moneta da un dollaro riporta la frase "In God we trust" che vuol dire "noi crediamo in Dio"!
Ve la immaginate la reazione dei nostri intellettuali europei se sulla moneta da un euro ci fosse riportata una affermazione del genere? E in Italia cosa succederebbe? Minimo ci sarebbe un referendum proposto dal caravanserraglio delle sinistre e dei radicali, con la stragrande maggioranza della stampa a fare da supporto mediatico, per l'abolizione della moneta da un euro, il tutto accompagnato e sostenuto dai cattolici e dai teologi d'avanguardia che sognano di dettare le dritte al Papa su come si deve essere cristiani.

Vedete, non sono differenze di poco conto. Quegli aspetti della democrazia americana ci fanno capire che i loro fondamenti stanno nella eredità della cultura europea e del suo Cristianesimo, inclusi i lasciti della Grecia e della Roma antiche, e guarda caso, tutti principi attaccati violentemente proprio oggi nel Vecchio continente che vuole cancellare per legge le radici cristiane dell'Europa.
Ma su questo punto è opportuna anche un'altra riflessione: i diritti umani furono dichiarati dall'ONU come risposta ai disastri delle ideologie antiumane come il comunismo e il nazismo, ideologie figlie naturali delle filosofie generate dalla Rivoluzione francese e dalle aberrazioni dell'Illuminismo.

Qualche anno fa in un convegno presso l'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" in occasione del 60° della Dichiarazione dell'ONU, sul tema "L'America Latina e il progetto Internazionale dei diritti umani", l'ambasciatrice degli Stati Uniti, Mary Ann Glendon ha fatto emergere un fatto di straordinaria importanza sulla genesi della Dichiarazione. La signora Glendon ha dimostrato come l'Enciclica Rerum Novarum del Papa Leone XIII del 1891 e l'enciclica Quadragesimo Anno del Papa Pio XI del 1931, hanno influenzato grandemente la Carta dei Diritti e dei Doveri dell'Uomo approvata a Bogotà dai Paesi latinoamericani il 2 maggio 1948, in cui è evidente l'influsso della tradizione personalista cristiana e del cattolicesimo sociale espressi nelle due encicliche. La successiva Dichiarazione dell'ONU venne stilata proprio sulla base della Carta di Bogotà.

A me sembra che su queste considerazioni molti intellettuali cattolici della cosiddetta avanguardia dovrebbero fermarsi a rileggere la Storia a partire dai documenti storici e non dalle ideologie deformanti la verità.
Vedete, qualche mese fa c'è stato un convegno cui ha partecipato il noto teologo prof. Vito Mancuso, docente di Teologia presso l'Università San Raffaele di Milano. Una mia collega cattolica vi ha partecipato e, sconvolta, mi ha informato delle prese di posizione di questo personaggio, che in uno dei suoi ultimi libri ha sostenuto ben 12 tesi considerate eretiche dagli studiosi di teologia che affiancano il Papa. L'ho rincuorata ricordandole che la Storia della Chiesa va di pari passo con la storia delle eresie. Le eresie si esauriscono, la Chiesa continua nella sua strada perché lo Spirito Santo guida le azioni e i pensieri del Papa, questa è la nostra fede e questa è anche la nostra fortuna, come credenti.

ORIGINE DELLA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO NELL'ISLAM.

muhammad

logotipo del nome del profeta Muhammad

Come abbiamo visto per la genesi della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948, così ora vedremo quali sono i presupposti filosofici, basati sulla religione islamica, che hanno prodotto la Dichiarazione dei diritti dell'uomo nell'Islam, a Parigi il 19 settembre 1981, presso l'UNESCO, dal Consiglio Islamico d'Europa.

Vediamo una sintesi di questa Dichiarazione, limitatamente agli articoli che più ci interessano sui principi della libertà individuale.
Parlare di diritti umani nell'Islam è una questione complessa e problematica, il rischio è quello di venire accusati, da parte musulmana, di ingerenza e di visione prettamente occidentale nei confronti di un argomento viziato da pregiudizi (secondo i musulmani, ovviamente).
Dal loro punto di vista, le società occidentali contemporanee, si farebbero portavoce e detentrici di una teoria universalmente valida dei diritti umani. Questa "presunzione" è respinta dalle voci ufficiali del mondo islamico, perché in primo luogo tutte le leggi dell'esistenza umana sono ricondotte alla shari'a (e quindi non ne vengono riconosciute altre di valide); in secondo luogo, è per loro inaccettabile l'adozione di regole di natura laica, non religiosa.
Alla concezione occidentale dei diritti dell'uomo viene contrapposto l'Islam con i suoi principi.

Proviamo a leggere alcuni articoli tratti dalla "Dichiarazione dei diritti dell'uomo" del Consiglio islamico d'Europa (Parigi 1981), nel cui preambolo si fa riferimento al patto stipulato da Dio (Allah) con l'uomo nella creazione, rinnovato, poi, mediante l'invio dei profeti, ultimo dei quali è stato Maometto: il sigillo dei profeti, quello che ha chiuso per sempre la mediazione tra il Creatore e l'umanità. I profeti erano in qualche misura i mediatori tra Dio e l'uomo, e Muhammad ha portato all'umanità il Corano, la parola di Allah.

Su questo fatto e solo su questo si basa l'intera concezione dei diritti umani. È chiaro dunque che ogni altra formulazione non religiosa non ha possibilità di sussistere.
I sei capitoli che costituiscono la Dichiarazione vertono sulla visione islamica della vita, sulla crisi della civiltà moderna, sulla collaborazione tra gli stati musulmani, sulla liberazione delle terre dell'Islam dagli occupanti, sull'unità della comunità islamica, ecc.

Art. 1: La vita è sacra, eccetto che la shari'a (legge islamica) consenta di toglierla.
Art. 2: La libertà va garantita, ma va ristretta e limitata nei casi previsti dalla shari'a.
Art. 4: Ogni individuo ha diritto ad essere processato in base alla shar'ia e ad esigere che essa gli venga applicata con esclusione di altre leggi. Nessun musulmano ha l'obbligo di obbedire ad un ordine che sia contrario alla shari'a.
Art. 10: L'Islam è la religione "naturale dell'uomo".
Art. 12: il diritto alla libertà di pensiero, fede e parola è garantito entro i limiti previsti dalla shari'a.
Art. 22: è garantita la libertà d'opinione eccetto nel caso di contrasto con la shari'a.
Artt. 24-25: Tutti i diritti e le libertà della Dichiarazione sono subordinati alle disposizioni della shari'a.

Ora, non c'è dubbio che per un lettore laico occidentale leggere questa successione di affermazioni comporta un certo imbarazzo, e una istintiva repulsione.
Per capire quale sia la genesi di questo pensiero è indispensabile conoscere il Corano, il testo sacro per eccellenza del mondo islamico.
Non è questa la sede per parlare del Corano e della sua formazione negli anni della maturità del profeta Muhammad. È importante sapere, però, che essendo stato dettato direttamente da Dio (Allah), attraverso l'Arcangelo Gabriele (lo stesso che annunciò a Maria la nascita di Gesù), al profeta Muhammad, le parole trascritte dai seguaci del profeta sono le parole di Allah, non sono parole umane ma di Dio e come tali non possono essere soggette a interpretazioni: quello che è stato detto è stato scritto ed è valido per tutta l'umanità e fino alla fine del mondo.
Attenzione però, il Corano contiene secondo l'Islam la nuova Alleanza tra Allah e l'umanità, il Corano sostituisce l'Antico Testamento, considera il Vangelo una falsificazione dei discorsi di Gesù, anzi, gli evangelisti hanno falsificato i Vangeli nel punto in cui Gesù diceva che avrebbe mandato il Consolatore (lo Spirito Santo secondo la nostra fede), mentre Gesù intendeva che questo Consolatore sarebbe stato Muhammad. Il Corano (parola di Allah) afferma che Gesù non è stato crocifisso, ma che un sosia lo ha sostituito all'ultimo momento.
Ricordo, brevemente, che per i musulmani, Abramo, Mosé, Gesù figlio di Maria e così tutti i profeti citati nel Corano, erano musulmani!!!!

Ora, la legge islamica della shari'a è tutta contenuta nel Corano e negli hadith (editti) del profeta Muhammad, cioè alle sentenze che il profeta ha emanato durante la sua vita terrena.

Se non facciamo questi riferimenti non possiamo capire il modo di pensare dei musulmani che vengono qui nelle nostre terre.

Ci vuole una buona dose di intraprendenza per mettersi a studiare il sacro testo dell'Islam, ma è un'operazione necessaria per entrare in quella cultura dalla porta principale, senza intermediari che di solito non sono molto obiettivi.

Facciamo, ora, alcune considerazioni molto importanti per capire le diversità culturali.
Il Corano è un testo scritto in arabo e solo in arabo può essere recitato.
Le 5 preghiere quotidiane sono la recitazione dei versetti del Corano e la preghiera è valida solo se è recitata in arabo e dopo aver fatto le abluzioni rituali (come gli ebrei osservanti).

La donna quando ha il suo ciclo mestruale è impura e la sua preghiera non è valida, la deve recuperare in altri giorni, così come il digiuno del Ramadan. Il pio musulmano non tocca mai con le mani una donna perché rischia di contaminarsi e di rendersi impuro.

Ai bambini nella scuola elementare viene insegnato il Corano e lo devono imparare a memoria, in arabo.

Viene insegnato che l'Islam è la migliore religione dell'umanità e la Umma (la comunità islamica), è superiore a tutte le altre comunità ed è eletta a portatrice universale di civiltà e di salvezza.

In questa sede non abbiamo lo spazio temporale per approfondire certi dettagli importanti, come la distinzione all'interno dell'Islam tra gli Sciiti e i Sunniti, come il confronto tra le 4 scuole giuridiche più importanti: hanafita, shafiita, malikita, hanbalita; come i musulmani dell'Africa centrale appartenenti alle confraternite islamiche, come i mistici del sufismo o come i mistici dervisci rotanti.
Tutto questo per confermare che non c'è un solo modo di intendere l'Islam, però quello che è da precisare è la assoluta osservanza del Corano e delle sue prescrizioni presso tutte le comunità islamiche del mondo: la UMMA.

Prima di fare altre precisazioni sul Corano è molto utile una riflessione di carattere storico-filosofico.
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nasce in Europa grazie allo sviluppo del pensiero filosofico maturato durante il Medioevo nelle Università, dove i più grandi filosofi erano anche grandi uomini di Chiesa.
Per l'Islam non c'è stata questa maturazione a causa del blocco del pensiero filosofico imposto dalle autorità religiose. Il loro pensiero è fermo alla filosofia esistente prima di Averroé, grande filosofo musulmano ma nato e vissuto nella Spagna occupata, (Cordova, 1126 – Marrakesh, 10 dicembre 1198). Questo grande personaggio aveva tradotto dal greco gli scritti filosofici di Aristotele e sulla scorta degli insegnamenti del grande filosofo aveva proposto di interpretare le Sure del Corano alla luce dell'evoluzione del pensiero e delle conoscenze storiche. Le autorità religiose lo misero al bando e dall'epoca nessun altro filosofo si è azzardato, a pena della vita, di fare altre ipotesi similari.

AVERROE

Averroè, particolare del "Trionfo di San Tommaso", di Andrea di Bonaiuto, Cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella, Firenze.

Quello che è assolutamente indispensabile conoscere del mondo musulmano è la loro cultura religiosa, secondo la quale l'Islam è DIN, WA DUNYA, WA DAULA, cioè RELIGIONE, SOCIETÀ, STATO e tutto ciò che deve regolare la vita dello Stato e della Società e la vita quotidiana dei musulmani è contenuto dentro al CORANO.

Come risulta evidente le diversità culturali tra cristianesimo e islam sono tante e profonde, ma noi viviamo in questo tempo e in questo territorio, e come cattolici credenti e praticanti siamo chiamati da Gesù nostro Redentore, a portare il suo Vangelo a tutti gli uomini.
È una sfida umana e culturale straordinaria che ci invita a capire cosa possiamo fare noi, qui e ora.

Questa relazione apre una finestra su un mondo che ci sta creando non pochi problemi, sia a livello sociale ma anche a livello politico e a livello personale.
È una sfida epocale alla nostra dimensione religiosa e civile.
Riflettiamo su questo.

Siamo ancora credenti e praticanti a livello di popolo? In Italia solo il 10% della popolazione dice di frequentare le pratiche religiose cattoliche.
In Europa i cattolici sono ancor più una minoranza sparuta. Pensate alle chiese olandesi trasformate in supermercati o in discoteche. Ma anche in Belgio, in Francia, in Danimarca.

L'Islam ha facile gioco in Europa per quanto riguarda l'occupazione di spazi sociali sempre più importanti, proprio a causa della debolezza del sistema politico e sociale dei vari stati.
Pensate solo al fatto che i terroristi che hanno messo le bombe e provocato decine di morti nella Metropolitana a Londra qualche anno fa, erano musulmani tutti nati in Gran Bretagna, erano cittadini inglesi.

A proposito del Corano, vi risparmio la lettura delle Sure (capitoli) e dei versetti che ispirano l'azione dell'islamismo fondamentalista, che però sarà bene vi leggiate, giusto per capire da dove nasce la violenza di certo Islam.

Come avete potuto notare le differenze non sono poche, né lievi. Per un cristiano è bene esserne consapevole, ricordando quanto la Chiesa ha sempre insegnato, ossia, che non vi è salvezza se non in Cristo, Uomo-Dio, crocifisso e risorto (si veda al riguardo la nota dichiarazione apostolica di Papa Benedetto XVI Dominus Jesus, contro l'indifferentismo religioso che equipara il Cristianesimo alle religioni).

Perciò l'atteggiamento del cristiano verso chi è musulmano non può che essere missionario: non possiamo non desiderare che l'altro incontri Cristo, nostra pace, possibilità di letizia e salvezza dal male.

Ciò, ovviamente, senza impazienze né atteggiamenti di proselitismo superficiale e mosso da motivi di meschina egemonia politica. Ciò che deve importare sempre, è la persona.

Comunque vi possono essere campi di collaborazione tra cristiani e musulmani (almeno quei musulmani che cercano con sincerità di obbedire a Dio, Infinito e Trascendente), come è già stato in sede ONU, pensiamo alla difesa della vita contro l'aborto, o alla difesa della famiglia naturale.

In buona sostanza i cristiani ancora una volta sono investiti di un compito cui la Storia li ha abituati: far conoscere Cristo a chi non lo conosce, ma parlando a dei musulmani, far conoscere il Gesù dei Vangeli che loro nel Corano conoscono in modo molto diverso.

Ecco, concludendo vorrei che si potesse realizzare questo sogno: un giorno, magari anche domani, quando vi capiterà di incontrare e di parlare con un musulmano, fategli una proposta. Ditegli con grande semplicità: io ti regalo il mio Vangelo, tu mi regali il tuo Corano, e ci ritroviamo quando li abbiamo letti e ci scambiamo qualche esperienza, cominciamo a conoscerci.

Vedete, il problema a volte sarebbe semplice da risolvere. Con un pizzico di umiltà San Francesco di Assisi era quasi riuscito a convertire il Sultano nel 1219 quando era al seguito della V Crociata. Lui era pieno di Spirito Santo. Impariamo da lui e confidiamo nel Signore.

I DIRITTI UMANI

la mappa dei diritti umani secondo l'Assemblea dell'ONU

Giovedì, 01 Novembre 2012 18:13

INTERVISTA A UN ALTRO FILOSOFO MUSULMANO

Scritto da

DALLA FILOSOFIA ALLA PRASSI: LA DONNA OGGI NELL’ISLAM.

Intervista al filosofo Yadh Ben Hachour.

Questi articoli che scrivo sui temi dell’antropologia culturale islamica, hanno lo scopo di tentare di far conoscere nei nostri territori la “mappa del mondo” che gira nel cervello dei musulmani. Qualche tempo fa ho avuto modo di partecipare ad una conferenza di grande attualità tenuta dal famoso filosofo tunisino Yadh Ben Hachour, invitato a parlare sul tema della condizione della donna nel Maghreb, cioè nel Nord Africa, dal Marocco alla Tunisia, e invitato dall’ICeSD (International Center for Subsidiarity and Development) della Venice International Unuversity.

Le considerazioni fatte dal professor Yadh Ben Achour hanno messo con forza in evidenza come il problema della liberazione della donna dalle condizioni di oppressione in cui si trova a vivere nel contesto sociale delle società islamiche, vada di pari passo con la liberazione dello Stato dai condizionamenti del potere religioso che la tradizione, mai affrancata dallo sviluppo di un pensiero filosofico musulmano, rende di fatto impossibile e impedisce qualunque progresso verso forme di democrazia nel senso occidentale del termine.

L’occasione per poter fare delle domande al Filosofo era troppo ghiotta, e l’articolo è il resoconto dell’intervista che così ho potuto fare all’insigne studioso.

Professor Ben Achour quali considerazioni preliminari può fare sul tema così scottante della conferenza?

Secondo noi, il liberismo politico deve andare di pari passo con la liberazione della donna. Il tutto si gioca dentro al concetto di modernità. Per esempio, Kant ha spiegato cos’è l’Illuminismo, che per me significa camminare senza supporti, liberi da costrizioni e da catene, permette di conseguire un’autonomia di pensiero e di azione. Vivere con la propria autonomia e rispondere alla propria coscienza. Però nella modernità dell’Illuminismo, a quel tempo, la condizione della donna rappresenta un buco nero. Anche secondo quei filosofi la donna non era tenuta in considerazione. Per esempio, Condorcet (1789) aveva scritto un libretto sulla cittadinanza della donna (Sur l’admission des femmes aux droits de cité), nel quale avanzava la proposta della parità di diritti tra i sessi; ma quasi un secolo dopo, nel 1859, John Sturt Mill scriveva un “Saggio sull’assoggettamento delle donne”, mettendo in risalto il ruolo della donna subalterno al potere dell’uomo. Questo per dire che anche in Occidente non è poi da molti anni che le lotte per la conquista dei diritti delle donne hanno conseguito risultati stabili e accettati nelle legislazioni. D’altra parte nel 19° secolo i paesi arabi prendono coscienza del gap tecnologico e culturale nei riguardi dell’Occidente, e il problema drammatico è come far transitare nel mondo musulmano il pensiero occidentale riguardo a questo tema in particolare.

Secondo lei ci sono spazi di assimilazione del pensiero occidentale nella cultura islamica?

Una cosa è certa, non si possono importare in modo brusco idee e principi di altre culture, ma è necessario procedere all’innesto e all’integrazione nel patrimonio culturale musulmano di quanto può favorire un adeguamento, anche legislativo, che consenta la realizzazione di una società più libera e meno assoggettata al rigore del potere religioso. I pensatori del Maghreb si sono trovati ad affrontare il problema della tradizione culturale. Il Maghreb è dominato dall’Islam Sunnita e ha adottato la scuola giuridica Malikita molto chiusa e rigida ed estremamente sfavorevole al mondo femminile. Questo è l’ostacolo! Come sarà superata questa rigidità? Vede, la tradizione Malikita è tramite del fondamentalismo, ancora oggi.

Quale lavoro state facendo voi, pensatori musulmani, per favorire questi processi di evoluzione culturale?

La tradizione dovrà essere reinventata, e ci sono autori che stanno lavorando alla reinterpretazione della tradizione. Il problema emergente è come fare? Il mio approccio è quello della riappropriazione della memoria: in fondo la tradizione non è una cosa immutabile. Sceglieremo una tradizione diversa dalla Malikita, trovandola nei primi albori dell’Islam. La memoria storica su questo periodo contiene i germi del rinnovamento culturale. Ci sono autori che ritengono che la tradizione Malikita non sia neanche assimilabile all’Islam. La strada, quindi, è un ritorno a una rilettura dei primordi della cultura islamica, d’altra parte il misoginismo musulmano nasce storicamente con il terzo Califfo (Othman) perché lui era misogino. Lo sforzo da fare, quindi, è quello di ritrovare l’Islam vero, autentico, originario. In questo contesto di ricerca delle proprie radici, i nuovi pensatori musulmani stanno elaborando la riforma dello Stato, e in questo contesto come riformare la condizione della donna.

Professore, può citarmi qualche esempio di questi filosofi moderni nell’Islam?

Un autore moderno è il marocchino Allal Fassi, grande teologo e giurista. Lui ha scritto un libro nel 1952 dal titolo “Autocritica”, nel quale sostiene che la vita è continuità e cambiamento e che è necessario studiare l’Occidente per trovare gli elementi di utilità per la cultura islamica, per la rinascita del pensiero e dell’organizzazione sociale. Questo autore condanna in modo fortissimo la poligamia e chiede che venga vietata. Condanna anche il ripudio della donna in nome della tradizione islamica originaria. Il secondo autore è Tahar Addad, che nel 1930 scrive un’opera sulla donna nella Sharia, affermando come occorra riformare l’Islam ritornando alla tradizione autentica, quella del Profeta. Tahar Addad, fa anche una distinzione tra l’Islam della fede e del dogma, e l’Islam legislativo-giuridico, quello Malikita per capirci. Noi dobbiamo, in quanto musulmani, adottare l’Islam della fede e del dogma e abbandonare l’Islam legislativo. Per esempio, sulla questione del velo è importante sottolineare il contesto culturale nel quale il Profeta ha fatto quelle affermazioni, e la regola valeva per quei tempi, oggi va cambiata. Come vanno cambiate le norme sulla diseguaglianza nel diritto successorio per le donne. Oggi i tempi sono diversi ed è necessario attualizzare quel pensiero. Tahar Addad non trova tracce di poligamia nel Corano e cita il versetto 4 della Sura delle Donne.

Le conclusioni del professor Yadh Ben Achour mettono in luce nuovamente il concetto del ritorno alla tradizione originaria del Corano. Per un popolo è impossibile fare le riforme se non si sforza di ricercare nella purezza originaria della tradizione le radici per attualizzarla. Certamente la guerra e la violenza sono inutili. C’è una considerazione importante da fare sui musulmani che emigrano in Europa, perché quelli che arrivano sono prevalentemente poveri e non acculturati. Quindi è fondamentale l’apporto dello strumento del dialogo tra le culture per riuscire a disinnescare la carica di violenza insita nelle masse migranti verso le quali il fondamentalismo ha facile presa.

 Al riguardo, però, è necessario fare un a fondo sulla realtà dei nostri territori, riguardo alla potenzialità nella costruzione di un dialogo tra le due culture religiose: la cristiana e la musulmana. In Italia esistono migliaia di cittadini italiani, probabilmente di origine cattolica, che si sono convertiti all’Islam e che vivono questa nuova fede nel loro territorio. Come è possibile che la loro cultura di provenienza tutta centrata sui principi della Carta dei Diritti Universali dell’Uomo votata all’ONU dopo la fine della seconda guerra mondiale, venga soggiogata e cancellata da una cultura che cancella quei diritti in nome del Corano?

La libertà di pensiero, di coscienza, di religione, è fondamento filosofico al diritto ad avere una vita senza costrizioni e senza condizionamenti da parte di nessuna autorità politica o religiosa nella nostra cultura “occidentale”, e bene fa il filosofo intervistato a sforzarsi di riportare il pensiero islamico alle origini, quando ancora i califfi non avevano bloccato lo sviluppo della filosofia imponendo il divieto di pensare liberamente la condizione dell’uomo sulla terra.

Vorrei concludere con una sorta di appello a questi italiani convertiti all’Islam: “Ma è possibile proporre agli immigrati islamici di conoscere le basi culturali della religione cristiana che ha fatto da incubatore per lo sviluppo del pensiero in Occidente? È possibile spiegare ai milioni di musulmani che vivono in Italia che a questo mondo non esiste solo l’Islam come religione? Che non ha senso assassinare chi è cattolico come sta succedendo in Siria, per mano dei sedicenti rivoluzionari che vogliono liberarsi da una dittatura, proponendone un’altra forse peggiore, se guardiamo ai risultati delle famigerate primavere arabe, trasformatesi drammaticamente in inverni dove il fondamentalismo religioso sta addirittura cancellando le riforme liberali che i precedenti dittatori avevano pur tentato di realizzare?

Ecco, giusto per tentare la costruzione di un dialogo con chi abbia il coraggio di aprire la sua coscienza e la sua intelligenza alla pace e alla convivenza senza egemonie di nessun tipo.

 

Domenica, 07 Ottobre 2012 17:36

L'ISLAM E LA FILOSOFIA

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L’ISLAM E LA FILOSOFIA.

Intervista al filosofo musulmano prof. Hassan Hanafi dell'Università del Cairo (Egitto).  

HASSAN HANAFI

È proprio vero, Venezia ha delle opportunità notevoli sulla frontiera dei rapporti internazionali, in particolare con i paesi del Mediterraneo e del vicino Oriente.

In questi ultimi anni la città e le sue istituzioni si stanno dando parecchio da fare per realizzare quella missione, insita nel dna della propria storia, di costruire ponti di conoscenza reciproca, in particolare con l’Islam.

Da alcuni anni vado sostenendo che la conoscenza reciproca è il primo passo verso la costruzione di un dialogo tra i due mondi culturali così diversi, come il Cristianesimo e l’Islam.

Il vero problema su questa strada è trovare interlocutori islamici che abbiano a cuore questo desiderio di reciprocità, questa apertura mentale che consente di guardare al futuro dell’umanità in termini costruttivi.

Quale futuro vogliamo per le generazioni che verranno?

Vogliamo ancora perseverare nella ricerca di chi per primo ha pestato il piede dell’altro, o desideriamo costruire un sistema di relazioni che consenta a tutti gli uomini quell’anelito naturale alla libertà, alla giustizia, al benessere?

Dopo le iniziative brillanti e promettenti dell'ex Patriarca di Venezia, Angelo Scola, con la pubblicazione della rivista Oasis, edita anche in arabo e in hurdu, strumento di comunicazione tra culture cristiane e islamiche, e le relazioni avviate tra il Marcianum e le Università islamiche, ecco che si muovono anche le istituzioni.

Qualche tempo fa, l’Amministrazione provinciale di Venezia ha organizzato una interessantissima conferenza sul tema: “Pensare l’Islam oggi”, insieme con l’ ICeSD (International Center for Subsidiarity and Development), Centro di ricerca e formazione nato dalla collaborazione tra la Fondazione per la Sussidiarietà e la Venice International University.

Relatore un importante filosofo dell’Università del Cairo, il prof. Hassan Hanafi, Vicepresidente della Società Internazionale di Filosofia.

Venerdì, 07 Settembre 2012 07:02

LA DONNA NELL'ISLAM (seconda puntata)

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           CONOSCERE PER DIALOGARE                

 

 LA DONNA NELL’ISLAM

    (seconda puntata)

Un approccio corretto alla conoscenza della antropologia culturale di popolazioni diverse da quelle occidentali, deve necessariamente fare riferimento alla religione di quelle popolazioni.

La dimensione religiosa è certamente quella più importante e più pervasiva presso tutti i popoli, per l’Islam addirittura è la religione che regolamenta anche la vita civile, il diritto civile e penale, la politica.

Come avremo modo di vedere in altri articoli, la concezione occidentale dei diritti universali dell’uomo, come deliberati dall’ONU, non trova riscontro nelle legislazioni dei paesi musulmani. Tanto meno dopo le recenti rivoluzioni popolari che hanno portato al potere i partiti di ispirazione fondamentalista, rigidamente ancorati alla legislazione di derivazione coranica.

Prima di continuare nella descrizione di come la donna è vista nella religione e nella cultura islamica è opportuno illustrare, anche se brevemente, cosa si trova nei testi sacri dell’Islam, per esempio negli Hadith (sentenze) del profeta.

LA CONSIDERAZIONE DI MUHAMMAD PER LE DONNE

Dagli Hadith (Editti) del profeta.

Sahih Muslim Hadith 142, narrato da Abdullah bin Umar.

Il Messaggero di Allah osservò: “O donne, dovreste dare la carità e chiedere tanto perdono, giacché vi ho visto ammassate fra gli abitanti dell’Inferno”.

Fra le altre, una donna saggia disse: “Perché, Messaggero di Allah, saremo ammassate nell’Inferno?”

Il Santo Profeta in merito a questa domanda, osservò: “Bestemmiate troppo e siete ingrate ai vostri sposi. Non ho visto alcuno venire meno al senso logico e non rispettare la religione e, allo stesso tempo, rubare la saggezza del saggio, eccetto voi”.

La donna puntualizzò: “Cosa c’è di sbagliato nel nostro senso logico e nella nostra religione?”

Egli (il Santo Profeta) rispose:” la vostra mancanza di senso logico è confermata dall’evidenza che due donne equivalgono ad un uomo, e dal fatto che trascorriate delle notti (e dei giorni) in cui non offrite le vostre preghiere e che nel mese di Ramadan  (durante il giorno) non osservate il digiuno, il che vuol dire non rispettare la religione”.

Sahih Al Bukhari, Hadith 3826, narrato da  Abu Said Al Khudri

Il Profeta disse: “Non è vero che la testimonianza di una donna equivalga alla metà di quella di un uomo?”

La donna rispose: “Sì”.

Lui disse: “Il perché sta nella scarsezza di cervello della donna”.

Sunan di Dawood, Hadith 2135, narrato da Qays bin Sa’d

Sono andato ad al-Hirah ed ho visto le persone prostrarsi davanti al proprio satrapo, così dissi: “L’Apostolo di Allah (che la pace sia con Lui) ha più diritto di ricevere prostrazioni dinanzi a Lui”-

Quando venni al Profeta (che la pace sia con Lui), dissi: “Sono andato ad al-Hirah e li ho visti prostrarsi innanzi al proprio satrapo, ma tu hai più diritto, Apostolo di Allah,ad avere persone prostrate innanzi a te.”

Lui disse: “Dimmi, se ti trovassi a passare vicino alla mia tomba, ti prostreresti?”

Io dissi: “No”.

E dopo disse: “E non farlo. Se mai dovessi comandare qualcuno di prostrarsi, comanderei le donne a prostrarsi innanzi ai loro mariti, a motivo del diritto speciale datogli da Allah.

 

L’affermazione sulla inferiorità della donna rispetto all’uomo, ha conseguenze importanti per la vita di tutti i giorni

Sabato, 18 Agosto 2012 17:22

LA DONNA NELL'ISLAM

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LA DONNA NELL'ISLAM

 (prima puntata)

 

L'argomento è quanto mai di attualità visto il naufragio totale delle "primavere arabe" sulla sponda del fondamentalismo politico-religioso, e visto lo stillicidio dei fatti di cronaca che vedono vittime consapevoli le donne musulmane o non musulmane, ma sposate a uomini musulmani.

Il sogno della gioventù dei paesi nordafricani di poter vivere secondo i diritti naturali dell'uomo: diritto alla libertà di pensiero, di parola, di fede religiosa, di appartenenza politica, è finito tragicamete. Come è finita l'ubriacatura mass-mediatica  degli intellettuali nostrani, cattolici e non cattolici, che sognavano l'Islam della modernità da contrapporre alla antica Chiesa di Roma.

L’approccio all’analisi della condizione della donna nell’Islam è piuttosto complesso.

Infatti, bisogna avere più punti di riferimento per spiegare a un pubblico occidentale e nella fattispecie cattolico, quali siano oggi nelle varie comunità islamiche la condizione femminile.

È necessario considerare la notevole diversità di queste condizioni nei vari paesi e nelle varie culture.

Si va dal considerare la donna come semplice strumento di riproduzione della specie e di totale servizio all’uomo come nelle culture dell’Africa orientale (Sudan, Somalia, Etiopia, Eritrea), dove alle donne viene praticata l’infibulazione come elemento della loro identità; alle culture dell’Africa del nord (Marocco e Tunisia in particolare) dove alle donne viene riconosciuta una quasi parità dei diritti.

Non avendo a disposizione un ciclo di seminari su questi aspetti, è conveniente fermarsi in prima battuta a ciò che è contenuto nel Corano riguardo alla concezione originaria dell’Islam sulla donna.

Già sono note alcune difficoltà interpretative dei testi coranici per il fatto che le Sure del Corano non sono ordinate in senso cronologico, ma esclusivamente in ordine di lunghezza del testo. Già è noto che la parola che Allah ha rivelato al profeta Muhammad è profondamente diversa tra i due periodi storici durante i quali il Profeta dettò ai suoi primi seguaci gli insegnamenti ricevuti.

Infatti, le sure che gli studiosi islamici attribuiscono al periodo “Meccano” (le prime sure in ordine di tempo ricevute a La Mecca), sono profondamente diverse da quelle ricevute nel periodo “Medinese” (a Medina si era rifugiato per fuggire alle ire della sua tribù di origine).

Mentre le prime Sure sono impostate in senso mistico e di grande ispirazione divina simile all’Antico testamento e contengono riferimenti alla Vergine Maria e a Gesù (considerato un profeta e non figlio di Dio), le seconde, quelle  di Medina, risentono di tutto l’odio possibile contro gli ebrei e contro i cristiani dell’epoca  e di quella città, perché semplicemente non credevano a quanto Muhammad predicava. (infatti furono tutti assassinati gli ebrei di Medina).

È importante ricordare che ancora oggi è fatto divieto dalle autorità islamiche, in particolare dall’Università Al Hazar del Cairo (Egitto), di procedere ad una qualunque analisi ermeneutica dei testi delle sure. Chi tenta una simile operazione, e nelle Università è la cosa più naturale che si fa, viene denunciato per apostasia e condannato a morte. Oggi è ancora così.

Ecco perché è importante sapere questi antefatti prima di procedere a qualunque conoscenza dell’Islam.

Il Corano è intangibile da mani non purificate, è scritto in arabo e si deve recitare in arabo; diversamente la preghiera non è valida.

Il Corano è stato “dettato” al Profeta attorno all’anno 620 della nostra era cristiana, e per quella cultura beduina nomadica e mercantile. Oggi dopo 1400 anni gli imam affermano che non è possibile contestualizzare quegli insegnamenti nella nostra epoca. Chi ci ha provato, o è stato assassinato, o è dovuto riparare in Europa o negli Stati Uniti.

Con una immagine molto significativa, il noto gesuita arabo Khalil Samir, afferma che mentre il Vangelo per noi cristiani è la parola (Verbo) di Dio incarnata, il Corano è la parola (Verbo) di Dio incartata. Nel senso che mentre Gesù, figlio di Dio, è entrato nella storia dell’uomo per portarlo alla salvezza e quindi si è fatto uno di noi, per l’Islam Dio non è padre né altra cosa tangibile, è parola increata, non ha nessun contatto con l’uomo, è solo lontano, inaccessibile, irraggiungibile. La sua Parola, cioè il Corano, è contenuta nella madre del libro che scolpita in parole d’oro è conservata in cielo presso Allah.

Fatte queste semplici premesse vediamo di analizzare la situazione della donna nell’Islam in una simulazione di domande e risposte, avendo come testo di riferimento il Corano e gli hadith (editti) del profeta Muhammad.

 È vero che nell’Islam l’uomo viene ritenuto supe­riore alla donna? O è un luogo comune? Su che cosa si fonda questa affermazione?

Nel Corano viene affermata esplicitamente la supe­riorità dell'uomo sulla donna, ma anche il suo dovere di tutelarla. Il versetto 228 della seconda sura detta “della Vacca”,  afferma che «gli uomini sono superiori alle donne» o letteral­mente «sono un gradino più in alto», e il versetto 34 della quarta sura detta “delle Donne”, dice che «gli uomini hanno autorità sulle donne a causa della preferenza che Dio concede agli uni rispetto alle altre, e perché spendono per esse i loro beni». Da queste affermazioni è derivata una tradi­zione secolare che dà al marito un'autorità pressoché as­soluta sulla moglie, confermata anche da vari hadith.

 

È bene  notare che nella sura delle Donne appena ri­cordata la superiorità maschile è legata sia alla preferen­za divina, sia a una motivazione di carattere economico, anche se questo secondo aspetto viene spesso lasciato in ombra dagli esegeti e dai giuristi. In sostanza si afferma che l'autorità maschile deriva anche dal fatto che l'uo­mo assicura alla donna il mantenimento.

Ma è lecito chiedersi se questa autorità può ritenersi ancora fonda­ta quando l'uomo non provvede più al mantenimento della donna, ad esempio perché, come avviene sempre più frequentemente in epoca moderna, essa lavora e quindi: è autosufficiente o, talvolta, provvede lei stessa al mantenimento del marito e della famiglia.

Ma un altro aspetto interessante è affermato, sempre nello stesso versetto 34: “… quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele; ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per maltrattarle; ché Iddio è grande e sublime”.

Questo è molto importante saperlo, perché non è un semplice dato culturale legato a quel tempo, è contenuto nel sacro testo dell’Islam, è parola di Allah, e non può essere messa in dubbio: è una regola.

 Da parte di molti intellettuali, anche cattolici,  si ritiene ci sia una certa somiglianza tra le affer­mazioni coraniche che stabiliscono l’autorità dell’uomo sulla donna e alcuni passi della Lettera di Paolo agli Efesini. Cosa c’è di vero in questo?

Affermare che Paolo attribuisce all'uomo un'autorità sulla donna paragonabile a quella indicata dal Corano è frutto di una lettura scorretta del capitolo 5 della Lette­ra agli Efesini.

Se si esaminano i versetti 21-33, che rac­chiudono il testo generalmente chiamato in causa, rela­tivo alla relazione tra marito e moglie,  si trova che la struttura formale di questi 13 versetti ci indica già lo scopo di Paolo. Dapprima viene affermato un principio generale: «Siate sottomessi gli uni agli altri nel ti­more di Cristo» (v. 21). Seguono tre versetti (22-24) che si rivolgono alle donne e altri otto (25-32) indirizzati agli uomini, e alla fine un versetto conclusivo (33) chia­risce l'atteggiamento richiesto a ciascuno dei due. Da questa struttura si deduce che il senso delle parole di Paolo è un'esortazione rivolta agli uomini piuttosto che alle donne.

 Alle mogli Paolo dice di essere sottomesse ai mariti come la Chiesa lo è rispetto a Cristo. Ai mariti Paolo rac­comanda di amare le loro mogli «come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei», usando cinque vol­te il verbo amare. Ed ecco la conclusione: «Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito».

 Esaminando adesso le parole nel loro contesto storico per vedere qual è la novità nell'insegnamento di Paolo, si trova che, quando parla alle donne egli non sta introducendo alcun precetto nuovo: infatti la tradizione mosaica, quella ellenistica e quella romana avevano stabilito il princi­pio della sottomissione della donna. La novità sta nel co­me, e Paolo specifica che si deve prendere ad esempio la sottomissione della Chiesa a Cristo, una sottomissione d'amore, spirituale, e non quella di una schiava al suo padrone. Perciò, nella conclusione, avendo chiarito il concetto, parla di «rispetto».

     Quando invece si rivolge ai mariti, li esorta ad ama­re le loro mogli come Cristo ha amato la Chiesa, offren­do la propria vita per lei. Probabilmente, allora come oggi, c'era un problema di mancanza di amore dell'uo­mo per la sua donna, e Paolo diceva al riguardo cose nuove: voi donne, che siete sottomesse ai vostri mariti, lo dovete fare come la Chiesa a Cristo, in un legame di amore; e voi uomini, imparate ad amare le vostre mogli. Si tratta di forme diverse di un unico amore.

La stessa prospettiva viene utilizzata quando Paolo dice che Cristo era sottomesso al Padre e obbediente a Lui fino alla morte e alla morte in croce. Per l'aposto­lo, in questa prospettiva, l'obbedienza e la sottomissio­ne non sono un atto di inferiorità umiliante ma un atto di deferenza; prova ne è che Cristo non è affatto infe­riore a Dio, ma consustanziale con Lui.

 

In conclusione, mentre nella concezione cristiana l'uomo e la donna sono messi su un piano di sostanzia­le parità, in quella musulmana si stabilisce una differen­za a livello ontologico, come affermano ancora oggi gli autori musulmani che presentano il ruolo della donna nell'Islam spiegando che essa, essendo per sua natura più debole fisicamente, più fragile psichicamente e più emotiva che razionale, è inferiore all'uomo e deve sotto­stare a lui.

Lunedì, 23 Luglio 2012 10:44

L'ISLAM. E NOI?

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           In questa area del sito saranno trattati argomenti sulla antropologia culturale islamica e i temi caldi dell’attualità religiosa, politica e culturale centrati sull’Islam.

          Non c’è dubbio che la consistenza dei movimenti migratori dalle nazioni a maggioranza islamica ha raggiunto ormai la massa critica che, sociologicamente, dà avvio a tutta una serie di ripercussioni sulle reti di relazioni, sull’economia, sulla cultura della nostra terra italiana e veneta.

          Da alcuni anni, ormai, mi sono dedicato allo studio della religione islamica, e propongo serate  sul tema della conoscenza del fenomeno, proprio per comunicare a chi è interessato le caratteristiche di questa religione e per essere all’altezza dei cambiamenti che si stanno manifestando nel tessuto sociale.

Verranno quindi trattati e approfonditi gli argomenti che l’attualità degli eventi ci costringe a prendere in considerazione. L’approccio seguito è essenzialmente basato su modelli di ricerca che vengono utilizzati nelle applicazioni della Statistica metodologica alla conoscenza dei fenomeni sociali, e, nei limiti dell’etica della ricerca scientifica, sarà un approccio che terrà conto, ovviamente delle radici culturali dell’autore.

          Al riguardo, e per chiarezza espositiva, chi scrive è convinto che non esista “laicità” nella ricerca sociologica, ognuno di noi tenta di leggere la realtà che lo circonda con le mappe cognitive che si è costruito nel tempo e che, per quanto mi riguarda, sono state messe a dura prova nei lunghi anni di docente universitario e di ricercatore.

          Quando Maometto all’inizio del VII secolo dopo Cristo cominciò la sua esperienza mistica, non pensava certamente alle attuali conseguenze della sua ricerca religiosa, infatti, la sua sensibilità alla dimensione religiosa dell’esistenza l’aveva coltivata nei lunghi viaggi dall’Arabia alla Siria come capo carovana.

Maometto, infatti, aveva sposato una vedova ricca e dedita alle attività commerciali e si dedicava agli affari della moglie percorrendo per lunghi periodi le strade carovaniere che si dipartivano dall’Arabia verso il nord, attraversando le terre degli ebrei e incontrando le comunità cristiane, per arrivare nei mercati di scambio della Siria e della Mesopotamia dove arrivavano le carovane con le merci preziose che a dorso di cammello provenivano dall’India e dall’Asia centrale.

È molto importante per capire la genesi del pensiero religioso di Maometto, tenere in grande considerazione questo fatto: il viaggiare da mercante lo portava a contatto con le realtà religiose molto radicate e strutturate nelle popolazioni con cui veniva in contatto, soprattutto la religione ebraica e la religione cristiana. Questo fatto è talmente importante e da tenere sempre in evidenza, per tentare di spiegare nel corso della storia tutta la carica di violenza verso gli ebrei e verso i cristiani, dalla nascita dell’Islam fino ai nostri giorni, come ci sarà occasione di approfondire nel corso degli articoli che seguiranno a questo primo.

          Infatti, la struttura delle sure del Corano risente in modo inequivocabile delle ascendenze ebraiche e cristiane dell’esperienza religiosa di Maometto. Anzi, per quanto riguarda il pensiero del Profeta su Cristo bisogna sottolineare che la sua conoscenza del cristianesimo è basata sull’eresia monofisita, secondo la quale Cristo aveva una sola natura divina, eresia che venne condannata nel concilio di Calcedonia nel 451. Tale eresia era all’epoca dei viaggi di Maometto particolarmente diffusa in Egitto, in Siria e nella Palestina. Ma a questa è necessario aggiungere un’altra nota storica importante, l’altra eresia molto diffusa in oriente: il nestorianesimo, secondo la quale la Vergine Maria non poteva essere la madre di Dio, Theotokos secondo l’espressione greca, e Cristo aveva due nature, la divina e l’umana, tra loro separate.

Queste eresie hanno influenzato in modo evidente il pensiero religioso di Maometto come viene sviluppato nella sua recitazione del Corano. Il Corano è la raccolta, disordinata, dei dialoghi che il profeta ebbe con l’Arcangelo Gabriele durante le sue visioni mistiche.

Il termine disordinata è usato in modo appropriato perché le Sure (i capitoli del Corano), sono semplicemente ordinate secondo la loro lunghezza, prescindendo da altri criteri. In questo modo sfugge a qualunque analisi interpretativa di natura cronologica quanto raccolto nei testi.

Allora, le due eresie, monofisita e nestoriana, giocano un ruolo strategico per comprendere come la conoscenza distorta del Cristianesimo che Maometto si fece, abbia avuto e continui ad avere conseguenze nefaste sui rapporti tra le due religioni.

   È necessario, infatti, risalire alla storia di quel momento per conoscere in quale clima religioso e politico si verificarono le visioni mistiche del Profeta.

La diffusione del monofisismo e del nestorianesimo avvenne solo in oriente, anzi nel medio oriente come lo conosciamo noi oggi, e da lì le due eresie si diffusero addirittura fino alla Cina. In particolare l’eresia nestoriana ebbe vita lunga fino all’epoca attuale, mentre la monofisita si esaurì abbastanza rapidamente.

A questo punto è abbastanza intuitivo cogliere la grande carica di odio e di violenza contro il papato di Roma, perché nei Concili di Efeso (431), di Calcedonia (451), e nel secondo di Costantinopoli (553), vennero condannate le due eresie, messi al bando i seguaci e costretti all’esilio. E, poiché i concili venivano convocati dall’imperatore, che era a Costantinopoli, ma venivano controllati dai teologi della chiesa di Roma, ecco che nell’immaginario dei cristiani orientali, Roma, rappresentava e rappresenta un’autorità poco gradita, anzi odiata e avversata.

 Come avremo modo di vedere e di capire nella nostra esposizione negli articoli che seguiranno in questa rubrica, la comprensione del fenomeno “Islam” non può essere disgiunta dalla genesi dello stesso. Il filo rosso che deve essere seguito nei secoli deve tenere in considerazione anche questi aspetti teologici e filosofici, e come è noto, quando questi si mischiano alla politica, fanno da detonatore, e le conseguenze sono note e sono ovvie. Niente di più drammatico e di più devastante per le comunità degli uomini si può verificare quando viene messo in discussione un credo religioso o un credo filosofico, oppure perché lo si vuole imporre agli altri.