COMMISSARIATO DI TERRA SANTA DEL NORD ITALIA – CONVENTO SANT’ANTONIO DI MARGHERA
29° CONVEGNO DEGLI AMICI DI TERRA SANTA
16 SETTEMBRE 2018
“FRANCESCANI IN TERRA SANTA, UNA STORIA LUNGA 800 ANNI”
LA MISSIONE FRANCESCANA D’OLTREMARE FINO ALLA BOLLA “GRATIAS AGIMUS” (Ringraziamo)
(A cura del prof. Gianfranco Trabuio, pubblicista)
Logo della Custodia Francescana di Terra Santa
Inizio questa mia relazione con un invito rivolto a tutti di creare nel proprio cervello un’immagine storica delle vicende che stiamo narrando e per farlo è necessario fornire una mappa storica degli eventi che nel breve lasso di tempo assegnatomi provo a descrivere.
Intanto ringrazio fra Francesco Ielpo, Commissario della Custodia Francescana di Terra Santa per il Nord-Italia, per la fiducia accordatami nel darmi un incarico così importante per questo nostro 29° Congresso. Incarico, peraltro, molto impegnativo perché illustrare storicamente il periodo che vede la presenza francescana nei Luoghi Santi dai primi anni del 1200 fino alla Bolla Gratias Agimus di Papa Clemente VI nel 1342 non è né semplice né facile.
Troppi sono gli eventi importanti che si sono succeduti in questo secolo e mezzo, e il tempo non è sufficiente per una relazione abbastanza esaustiva per disegnare il quadro delle vicende che dovrebbero essere narrate.
Ho scelto quindi di parlarvi di un quadro iniziale, quando i primi frati arrivano in Palestina, e della scenografia finale quando la Chiesa cattolica romana istituisce formalmente la Custodia di Terra Santa incaricandone i Frati Francescani per la realizzazione concreta.
La presenza dei Francescani in Terra Santa risale agli inizi del XIII secolo.
A quel tempo il piccolo gruppo dei seguaci di S. Francesco divenne ben presto un grande Ordine Religioso (l 'Ordine dei Frati Minori), animato da fervore e da irrefrenabile dinamismo apostolico.
Lo stato e le linee del suo sviluppo vennero fissati dai Capitoli Generali, equivalenti ai "congressi" degli odierni partiti politici.
Al Capitolo Generale del 14 maggio1217, giorno della Pentecoste, tenutosi ad Assisi, i Francescani decisero di portare la testimonianza della loro vita e l'annuncio del Vangelo in ogni angolo della terra. Per rendere più capillare e più incisiva la loro azione apostolica, divisero il mondo, allora conosciuto, in zone territoriali, chiamate "Province".
Una delle Province, costituite nel suddetto Capitolo, ebbe il nome di Provincia di Terra Santa o, con termine più generico, di Provincia d'Oriente o d’Oltremare, che si estendeva a tutte le regioni, che gravitavano attorno al bacino sud-orientale del Mediterraneo, dall'Egitto fino alla Grecia e oltre.
La Provincia di Terra Santa comprendeva naturalmente la terra natale di Cristo e i luoghi, in cui si era realizzato il mistero della nostra Redenzione. Per tale motivo essa fu considerata la prima fra tutte le Province e, dopo l'apertura delle altre missioni dell'Ordine in tutto il mondo, fu insignita del titolo di PERLA DELLE MISSIONI FRANCESCANE fino ai nostri giorni.
Al Capitolo Generale del 1217, Francesco inviò frate Elia a iniziare, e quindi, a organizzare la presenza dei frati nelle terre d’oltremare, cioè in Terra Santa.
S. FRANCESCO IN TERRA SANTA
Francesco, intenzionato ad allargare la sua predicazione nelle terre dell’Islam, partì alla volta della Terra Santa per raggiungere i luoghi dove i Crociati combattevano gli infedeli. Si imbarcò il 24 giugno 1219 da Ancona con undici compagni e raggiunse la città di Damietta, in Egitto, in agosto, mentre da parte dei Crociati era in corso l’assedio alla città (che fu poi conquistata nel novembre). Era questa la quinta Crociata dal 1095, da quando cioè Urbano II per la prima volta aveva esortato alla liberazione di Gerusalemme e dei Luoghi Santi dal dominio dei seguaci di Muhammad. Indetta da Onorio III nel 1217, aveva come fine la riconquista di Gerusalemme, che il Saladino aveva rioccupato nel 1187. Il campo di battaglia si era spostato in Egitto: qui i Crociati progettavano di occupare l’importante porto di Damietta, da usare poi come merce di scambio con i regnanti della dinastia ayyubide, che dominava i territori della Palestina.
Francesco, giunto a Damietta, ottenne dal legato papale, il cardinale Pelagio Galvao, benedettino portoghese, il permesso (accordato con la specifica ufficiale che il frate agiva a suo rischio e pericolo) di avventurarsi disarmato in territorio musulmano. Il legato, infatti, malgrado la presenza dei capi cristiani (il re titolare di Gerusalemme Giovanni di Brienne, il re di Ungheria Andrea II e il duca d’Austria Leopoldo VI di Babenberg), come inviato del Papa, aveva il maggior peso decisionale.
Il fumetto storico pubblicato da Francesco Lucianetti e da Gianfranco Trabuio che ha conseguito il primo premio al Concorso Nazionale del fumetto "L'Unicorno"a Rovigo nel 2015
COL SULTANO
Francesco, predicando il Vangelo e i valori della fede cristiana, sperava di convertire il sultano egiziano ayyubide Malek al-Kamel (succeduto al padre, fratello del sultano Saladino il Grande, nel 1218) e i suoi soldati, per arrivare, quanto meno, ad una resa, così da evitare ulteriori spargimenti di sangue. Tra l’agosto del 1219 e la vittoria crociata del novembre stesso, Francesco e frate Illuminato furono nel campo saraceno. Alla presenza del proprio direttore spirituale e consigliere, Fakhr ad-din Fârisî, il sultano Malek al-Kamel incontrò con grande cortesia Francesco: «Per molti giorni predicò ai saraceni la parola di Dio, ma senza molto frutto», racconta il vescovo Giacomo di Vitry di S. Giovanni d’Acri in una lettera della primavera del 1220 a Onorio III.
Non sapremo mai di cosa parlarono e molte leggende sono fiorite intorno a quest’evento storico. Pur riconoscendo la straordinaria capacità di conversione del frate, il sultano rimase musulmano e, temendo piuttosto il cambiamento di fede da parte di qualcuno dei suoi, ordinò che il “poverello di Assisi” fosse ricondotto nel campo crociato e fornito di un salvacondotto per poter visitare la Palestina. Francesco si trattenne poco a Damietta, poi, attraversò la Palestina e la Siria, e ritornò in Italia.
La visita ai Luoghi Santi (non ancora dimostrata con certezza) avvenne tra il 1219 e il 1220. Racconta ancora il vescovo di S. Giovanni d’Acri: «Vedemmo giungere frate Francesco, fondatore dell’Ordine dei Frati Minori. Era un uomo semplice e senza lettere, ma amabilissimo e caro a Dio e agli uomini. Arrivò quando l’esercito dei Crociati era accampato sotto Damietta; fu subito rispettato da tutti». Il comportamento di Francesco indicò la strada per quello dei futuri missionari francescani: un’evangelizzazione in umiltà, l’amore e la venerazione dei Luoghi Santi come testimonianze dei momenti salienti della vita del Salvatore.
Avuto il salvacondotto dal sultano d'Egitto, Francesco si diresse verso la Palestina in visita ai santuari della Terra Santa. Se ne tornò poi in Italia, passando per la laguna di Venezia dove ancora oggi c’è il santuario di San Francesco del Deserto nell’isola omonima, e morì nel 1226 ad Assisi.
LA BOLLA DI GREGORIO IX: “SI ORDINIS FRATRUM MINORUM”
Premesso, allora, che i figli di San Francesco canonizzato il 16 luglio 1228 da Papa Gregorio IX, erano missionari nella Provincia d’Oltremare, era necessario dare alcune direttive di natura pastorale affinché fossero osservate all’interno delle gerarchie della Chiesa cattolica, ed ecco che Papa Gregorio IX, suo grande estimatore e protettore, pubblica un documento che costituisce per i Frati Minori la base legale e giuridica del loro insediamento a Gerusalemme e in Terra Santa. Ecco nella versione tradotta dal latino il contenuto di questo prezioso documento:
«Gregorio vescovo, servitore dei servitori di Dio, ai venerabili fratelli patriarchi di Antiochia e di Gerusalemme, legati della Sede Apostolica, a tutti gli arcivescovi e vescovi, ai Nostri amati figli abati, priori, superiori, diaconi, arcidiaconi e agli altri prelati della chiesa a cui le Nostre lettere giungeranno, salute e benedizione apostolica.
«Se voi considererete attentamente la regola dell'Ordine dei Frati Minori, potrete conoscere perfettamente che essi non desiderano i beni temporali, dato che, fin dall'inizio, hanno fondato la loro vita sulla povertà e di questa hanno fatto professione in special modo. Così come vi sembrerà più opportuno, accorderete loro il vostro aiuto tanto più facilmente in quanto non si presuppone in essi la ricerca e il conseguimento di un vantaggio temporale.
« Per questo, vi avvertiamo tutti e vi esortiamo vivamente ad attenervi a questo comando per lo stretto precetto delle lettere apostoliche: se qualche fedele o essi stessi volessero costruire degli oratori nelle vostre parrocchie, siccome cercano la salvezza delle anime e si consumano per esse, favorite benevolmente il loro progetto e permettete volontieri ai fratelli per questo istruiti e che hanno l'autorizzazione del loro padre provinciale di predicare nelle vostre parrocchie la parola di Dio.
« Non vogliamo, tuttavia, che essi ricevano le decime,le primizie, le offerte, né, che diano sepoltura ecclesiastica se non si tratta di Fratelli appartenenti all'Ordine. Inoltre, quando ne sarete richiesti, vogliate benedire i cimiteri concessi per il loro bisogno dalla Sede Apostolica, senza forzare gli stessi fratelli a incorrere in qualche sentenza di interdizione o di scomunica promulgata senza un mandato speciale della Sede Apostolica. Speriamo che possiate adempire il Nostro comando e il nostro precetto in maniera da mostrarvi degli zelatori della religione, in modo che possiate meritarvi il Nostro favore e la nostra benevolenza e in modo che non siamo costretti a provvedere personalmente a questi bisogni.
« Data a Perugia, alle calende di febbraio, nel terzo anno del Nostro Pontificato (1° febbraio 1230) »,
Questo atto pontificale che presuppone l'insediamento dei Francescani in Terra Santa vuole loro assicurare il favore del clero locale. È il modesto inizio di una serie di atti che condurranno alla costituzione definitiva dei custodi ufficiali dei Luoghi Santi, il 21 novembre 1342. Tra questo primo documento e l'ultimo, i fatti di cui la storia ha conservato il ricordo non permettono di tracciare un cammino ascendente che, sia attraverso gli insuccessi, che i successi, conduce dall'uno all'altro. Resta però certo che le istituzioni francescane della Palestina ricevono da questo primo documento un nuovo impulso.
LA PROVINCIA DI TERRA SANTA
La Provincia di Terra Santa continuò, anche dopo la morte di S. Francesco, ad essere trattata con speciale riguardo dalle autorità dell'Ordine.
Il Capitolo Generale di Pisa, tenutosi nel 1263 sotto il generalato di S. Bonaventura, considerato che la grande estensione della Provincia di Terra Santa ostacolava l'organizzazione di un lavoro apostolico adeguato alle particolari circostanze del luogo, decise di restringerne la competenza territoriale a Cipro, Siria, Libano e Palestina.
In conformità alle Costituzioni dell'Ordine di allora, anche la Provincia di Terra Santa era suddivisa in più distretti o circoscrizioni, chiamate "Custodie", comprendenti i conventi di una determinata regione.
Vi erano così le Custodie di Cipro, di Siria, e quella di Palestina, detta più propriamente "Custodia di Terra Santa", formata, durante il secolo XIII, dai conventi di Acri, Antiochia, Sidone, Tripoli, Tiro, Giaffa e Gerusalemme.
Alcuni di questi conventi ebbero una vita piuttosto breve come, ad esempio, quelli di Gerusalemme e Giaffa, che durarono sì e no una decina d'anni.
La caduta di S. Giovanni d'Acri in mano musulmana il 18 maggio 1291 segnò non solo la fine dell'epopea crociata e del Regno Latino di Gerusalemme, ma determinò anche il temporaneo ritiro dei Francescani dalla Terra Santa.
Essi, dopo l'instaurazione del nuovo dominio musulmano in Palestina, si rifugiarono a Cipro, dove aveva sede il Ministro Provinciale della "Provincia di Terra Santa" o "d'Oriente", da cui dipendeva la Custodia di Terra Santa. Di lì programmarono e avviarono gradualmente il loro ritorno a Gerusalemme e nelle altre zone della Palestina.
Il Papa Giovanni XXII, nel 1328, diede facoltà al Ministro Provinciale di Terra Santa di inviare ogni anno due suoi frati nei Luoghi Santi. Il che sta a dire che i Francescani, nonostante i cristiani fossero banditi ufficialmente dalla Palestina, continuarono ad esservi presenti e ad esercitarvi una qualche forma di apostolato.
Da vari indizi storici si sa che alcuni Francescani erano presenti al servizio del Santo Sepolcro nel periodo fra il 1322 e il 1327.
Il definitivo ritorno e insediamento dei Francescani in Terra Santa, unitamente al possesso legale di determinati santuari e al diritto di uso di altri, avvenne per l'interessamento e la munificenza di Roberto d'Angiò e della consorte Sancia di Maiorca, reali di Napoli, i quali, dopo laboriose trattative con il sultano d'Egitto, condotte con la mediazione di Fra Roger Guerin d’Aquitania nel 1333 acquistarono con denaro sonante il Cenacolo e ne trapassarono la proprietà ai Francescani che, sempre con i fondi della regina Sancia, eressero accanto ad esso un convento.
I Reali di Napoli ottennero pure che i Francescani fossero officianti abituali nella basilica del Santo Sepolcro e stabilirono che godessero di tali diritti "in nome e per conto della cristianità".
Da fonti storiche si sa che la somma pagata al Sultano dai reali di Napoli equivarrebbe a 3 milioni di franchi d’oro del tempo, e per avere un’idea di quanto è stato dato ho fatto due conti: tenuto conto che un franco d’oro pesava 3,87 grammi, al costo attuale dell’oro di 34 Euri al grammo, la spesa sarebbe stata pari a 394 milioni di Euri, ovvero nelle vecchie lire, per essere più efficaci, 764 miliardi e 261 milioni. Anche a quel tempo gli islamici erano molto sensibili al denaro.
Ingresso della Baslica del Santo Sepolcro a Gerusalemme
LE BOLLE DI PAPA CLEMENTE VI
Papa Clemente VI, con le Bolle "Gratias agimus" e "Nuper carissimae" del 21 novembre 1342, sancì l'operato dei Reali di Napoli ed emanò disposizioni per il buon funzionamento della nuova entità ecclesiatico-religiosa.
Queste due Bolle sono, in pratica, l'atto costitutivo della nuova Custodia di Terra Santa.
Potevano far parte di questa entità frati provenienti da tutte le Province dell'Ordine (internazionalità della Custodia), i quali, una volta a servizio della Terra Santa, passavano sotto la giurisdizione del "Padre Guardiano del convento del Monte Sion" in Gerusalemme, dipendente a sua volta dal Ministro Provinciale di Terra Santa, con sede a Cipro.
Da allora i Frati Minori divennero i custodi dei Luoghi Santi per volontà e mandato della Santa Sede.
SVILUPPI SUCCESSIVI
Nel 1347 i Francescani si insediarono definitivamente anche a Betlemme presso la basilica della Natività di Nostro Signore.
Secondo i primi Statuti di Terra Santa, risalenti al 1377, i frati addetti al servizio dei Luoghi Santi (S. Cenacolo, S. Sepolcro e Betlemme) non dovevano essere più di venti. Era loro compito assicurare il funzionamento liturgico dei citati santuari e prestare assistenza religiosa ai pellegrini.
Da notare che in un documento del 1390 si specifica che la Provincia di Terra Santa, avente sede a Cipro, tra le Custodie, da essa dipendenti, ne contava una col nome di "Custodia di Siria", comprendente quattro conventi: Monte Sion, S. Sepolcro, Betlemme e Beirut.
Dal numero e dal nome dei conventi appare chiaro che la Custodia di Siria era l'equivalente della Custodia di Terra Santa. Se essa veniva menzionata con il nome di "Siria", era per non ingenerare confusione fra questo organismo e la Provincia di Terra Santa, avente sede a Cipro.
Negli ultimi anni del secolo XIV la Custodia dei frati, operanti in Palestina, raggiunse un'im¬portanza preponderante nell'ambito della Provincia, da cui dipendeva, fino ad assumere un ruolo praticamente autonomo. E' così che venne attribuita ad essa, anziché alla Provincia, da cui ancora dipendeva, la denominazione di "Terra Santa". Da allora in poi essa porterà questo pre¬ciso titolo: "Custodia di Terra Santa", col compito specifico, come dicono le parole stesse, di "custodire" i Luoghi santi.
IL MARTIRIO DEI FRATI E DEI FEDELI CATTOLICI
Una delle tante rappresentazioni iconografiche del martirio dei frati francescani (le fonti elencano circa 2000 frati martiri, dall'inizio della loro presenza a oggi, per mano degli islamici).
In questo primo periodo ufficiale della sua storia, la Custodia ebbe il “sigillo del martirio” con il sacrificio di parecchi suoi frati. Il primo sangue francescano bagnò la terra di Gerusalemme nel 1244, durante l'irruzione dei Carismini, i quali passarono a fil di spada numerosi cristiani e trucidarono crudelmente i Frati Minori.
Altri, ricordati da Alessandro IV, subirono il martirio nel 1257. Nove anni dopo, a Safet nel 1266, oltre duemila combattenti cristiani morirono dopo l'occupazione della città da parte del Sultano Bibars. Assieme a loro morirono anche gli eroici frati che non vollero rinnegare la loro fede. Nel 1268 anche Giaffa e Antiochia ebbero le loro vittime francescane. Di nuovo in Siria, nel 1269, caddero sotto la spada saracena otto frati. Si narra di come, sul corpo di uno di essi, Fra Corrado de Hallis, galleggiante sulle onde del mare, brillarono per quasi tre giorni due lumi fulgenti. A Damasco e a Tripoli, nel 1277, nuovo sangue cristiano venne versato per mano delle armate del Sultano Kelaun.
Acri, ultimo baluardo del Regno Latino, nel 1291, fu assalita dal Sultano Melek el Ascaraf. Oltre trentamila cristiani e numerosi frati caddero, in quell’occasione, per mano dei saraceni.
Conclusione (da una riflessione di fra Pacifico Sella ofm, docente di Storia della Chiesa all’Antonianum di Roma)
La vicenda crociata sperimentata da Francesco e il suo incontro con il Sultano di Egitto, comportò per il Santo un'entrata in crisi di tutte quelle certezze comuni al mondo medievale intorno ai musulmani: la loro pietà e la loro fede nel Dio unico devono aver certamente fatto breccia nel suo cuore. Capì che si sarebbero fatti uccidere piuttosto di abiurare al loro credo. E allora bisognava battere una nuova strada nei loro confronti: se prima li si combatteva con l'intento di estirpare la loro presenza ereticale e porre soluzione ai danni che ne derivavano, ora bisognava nei loro confronti adottare un'altra forma di «lotta», quella della testimonianza cristiana fatta di silenzio e minorità. Questo criterio sarà fissato definitivamente da Francesco nel cap. XVI della Regola non bollata, che poi troverà la sua soluzione canonica nei cap. III e XII della Regola bollata.
Ciò determinò l'inizio di una nuova forma di evangelizzazione missionaria che trovò la sua immediata realizzazione da parte di quei frati che andavano tra gli infedeli, presso cioè i musulmani del nord Africa e quelli dei luoghi santi, e i pagani, in prevalenza mongoli, dell'estremo Oriente asiatico, come mostra l'esempio mirabile di Giovanni da Montecorvino.
Il contributo dato da Francesco con la sua partecipazione mite alla V crociata e la sua inerme testimonianza cristiana davanti al sultano sono alla base di un nuovo stile missionario. A noi il prenderne consapevolezza per aderirvi sempre più, ben sapendo che, come Francesco insegna, l'evangelizzazione inizia solo là dove ci sia un'autentica testimonianza di vita «crocifissa» (= sottomessa) per poter parlare di colui che per noi si sottomise all'obbrobrio della croce.
Finalmente, in questi ultimi anni, alcuni storici cominciano ad esaminare le ragioni delle spietate persecuzioni contro i cristiani già dai primi decenni del primo secolo dopo Cristo. Cominciamo in ordine cronologico da Gerusalemme per arrivare a Roma, per poi ritornare a Gerusalemme.
È noto da molte fonti storiche, compresi gli Atti degli Apostoli, che i seguaci di Gesù furono immediatamente perseguitati dai Giudei, addirittura Saulo di Tarso prima della conversione aveva assistito al martirio di Stefano, e Saulo era giudeo praticante non v’è dubbio. Negli Atti al cap. XXIV vers. 5, si fa menzione di Paolo, allora convertito e grande predicatore itinerante che viene portato davanti al tribunale romano a Cesarea dove viene accusato dal sommo sacerdote Anania con queste parole: “Abbiamo scoperto che quest’uomo è una peste, fomenta continue rivolte tra tutti i Giudei ed è a capo della setta dei Nazirei”.
Questo cenno è importante per capire come mai già nel 35 d.C. il Senato di Roma proclamava il Cristianesimo superstitio illicita, superstizione proibita, e quindi che: non licet esse Christianos, non si poteva essere cristiani.
Quel che è strano è però che fino a Nerone (37-68 morto suicida) i cristiani godevano di una benevola neutralità da parte delle istituzioni imperiali. Tiberio (42 a.C.-37) addirittura aveva proposto che Gesù Cristo fosse inserito nel Pantheon degli dei romani, scontrandosi però col Senato che era competente per la consecratio.
Adesso però, recenti studi condotti da Marta Sordi (1925-2009) ordinario di Storia Greca e Storia Romana alla Cattolica di Milano, consentono di aprire uno squarcio sulle origini della persecuzione di Nerone e dei suoi successori.
Nel suo ultimo libro: “Impero Romano e Cristianesimo. Scritti scelti.”, edito dall’Institutum Patristicum Augustinianum (Gennaio-Aprile 2008), la studiosa documenta come le pressioni esercitate da Poppea, novella sposa di Nerone e di inclinazione religiosa giudeizzante, vennero proprio dal Sinedrio giudeo che estendeva la sua autorità su tutte le comunità ebraiche, e fu provocato dalla massiccia conversione al cristianesimo delle popolazioni della Grecia e dell’Asia minore.
I giureconsulti giudei ebbero facile gioco in tutto questo, bastò ricordare a Nerone come il cristianesimo fosse superstitio illicita e come non licet esse Christianos, e accusare i cristiani di essere i fomentatori delle sedizioni antimperiali per scatenare l’odio omicida dell’imperatore che continuò con i suoi successori fino al 313 d.C. con l’editto dell’imperatore Costantino che mise fine alle violenze contro i seguaci di Cristo.
La persecuzione dei cristiani, acquaforte di Jan Luyken (1649-1712)
Ora, è importante fare una semplice riflessione sulle persecuzioni contro i cristiani, in tutte le epoche. Anche oggi i cristiani vengono perseguitati e uccisi: perché? Forse a causa della parola di Cristo, forse perché predicano l’amore e il perdono reciproco, forse perché affermano che Dio è misericordia e giustizia, forse perché si occupano dei poveri, degli indifesi, dei miserabili, dei lebbrosi, dei malati di AIDS, perché costruiscono scuole e ospedali? Perché? Perché tutto l’odio dei credenti di altre religioni, e degli atei e degli agnostici, si concentra contro i seguaci di Cristo? Perché anche le Istituzioni europee, che pur sono nate dalla cultura politica di grandi uomini di fede cristiana, rinnegano la propria storia e preferiscono annegarla in un oceano di relativismo e di indifferenza, cancellando se potessero tutta la storia, la cultura, le opere d’arte, la musica, la pittura, l’architettura, l’ambiente. Eh sì, anche questo bisogna ricordare: le bonifiche e l’agricoltura europea sono nate intorno ai monasteri delle varie regole benedettine e non dalle rivoluzioni filosofiche.
A questo punto è importante riprendere il cammino iniziale che ci ha portato da Gerusalemme a Roma, per ritornare a Gerusalemme. E andiamo a vedere cosa successe nella distruzione della città invasa dall’esercito persiano di Cosroe II nel 614 d.C.. Anche qui ci viene in soccorso la storia documentata dai cronisti dell’epoca, che narrano come gli israeliti esiliati a Babilonia dal 135 d.C. dopo la seconda rivolta contro i romani, col divieto assoluto di farvi ritorno, pensarono di approfittare della loro potenza economica per indurre l’imperatore persiano a conquistare la Gerusalemme cristiana che apparteneva all’impero bizantino cristiano. E così in quell’anno 614 l’esercito persiano, appoggiato dalle comunità ebraiche della Galilea, invase la città santa che era una fiorente e ricca comunità cristiana, ricca di chiese e di monasteri, con le basiliche del Santo Sepolcro a Gerusalemme e della Natività a Betlemme. Tutto fu distrutto e depredato, ad eccezione della Basilica della Natività, perché i persiani vi trovarono l’effigie dei Re Magi in un bassorilievo di marmo, e vedendo che erano rappresentati con i costumi della Mesopotamia, ravvisandone i loro antenati, si fermarono e la risparmiarono. Solo per questo ancora oggi possiamo godere dell’unico gioiello rimasto nella Terra Santa risalente ai primi anni del cristianesimo.
Poiché i persiani erano in gran parte politeisti, erano anche liberali in fatto di altre religioni, e cercavano solo il bottino prezioso delle chiese, quindi la distruzione che ci fu, gli storici dell’epoca, la attribuiscono agli israeliti che così potevano rientrare nella loro città senza conservare le memorie del Cristo loro profeta disconosciuto, condannato e ucciso con la crocifissione.
Ma non è finita qui. La furia travolse anche gli uomini, e migliaia di battezzati furono fatti schiavi dai persiani e venduti ai facoltosi ebrei che procedettero al loro massacro.
Le fonti storiche sono precise su questo e parlano della piscina Mamilla vicina alla porta di Giaffa. In questi ultimi anni nella Gerusalemme diventata tutta città israeliana, la speculazione edilizia ha messo le mani su Mamilla diventato nel tempo un borgo arabo, che viene raso al suolo per costruirci un quartiere residenziale ebraico e l’albergo Hilton. Ma grande è stata la sorpresa quando si sono accinti a prosciugare quanto restava dell’antica piscina Mamilla, ecco comparire una cappella bizantina con una croce e la scritta in greco: “Solo Dio conosce i loro nomi”. Sotto la cappella lo scavo è andato avanti e ha portato alla luce migliaia di scheletri umani, tragica testimonianza del massacro dell’anno 614 d.C.. Il celebre archeologo israeliano Ronny Reich ha studiato il ritrovamento e ha confermato trattarsi dei resti dei battezzati comprati dagli ebrei per essere sterminati.
Piscina Mamilla come si presentava prima degli scavi
Immediatamente le comunità cristiane di Gerusalemme hanno chiesto che quell’angolo della Mamilla venisse conservato come memoriale. Ma ancora oggi, purtroppo, i credenti in Cristo da quelle parti non godono di tanta considerazione da fermare una speculazione edilizia, e la richiesta neanche è stata presa in considerazione.
Piscina Mamilla e la protesta del Centro Wiesenthal contro la distruzione della memoria dei martiri
Le ruspe hanno asportato terra e ossa dei martiri, e poiché per la religione ebraica non può esserci contatto tra vivi e morti, non si è costruito più il nuovo insediamento ebraico ma un grande parcheggio sotterraneo: il Mamilla Pool Parking, dove oggi chi visita la città santa può andare a parcheggiare tranquillamente ignorando il tutto, perché in nessuna guida turistica viene fatto cenno all’evento storico. Una censura davvero strana per la nostra cultura post-moderna, secondo la quale solo il Papa e la Chiesa di Roma devono chiedere scusa all’umanità per i loro errori. Tutti gli altri, filosofi, politici, dittatori, religioni di tutti i tipi non si devono scusare di nulla.
Forse ce l’hanno con i seguaci di Cristo perché Lui ha lasciato detto che la “verità vi farà liberi”, mentre in molti sognano ciascuno per sé la propria dittatura contro la libertà degli altri.
Le tre fedi monoteistiche a Gerusalemme.
Pianta antica della città di Gerusalemme
PREMESSA.
Il tema che affrontiamo in questa relazione è di straordinaria attualità, sia dal punto di vista religioso, siamo in Quaresima, sia dal punto di vista politico, la guerra continua nella terra di Gesù.
Ora, noi tutti sappiamo come nella vita di Gesù i quaranta giorni di digiuno nel deserto siano stati quelli della preparazione alla Passione e alla Morte, ma anche alla Risurrezione.
Noi cristiani siamo persone di fede abituate a lavorare e a vivere proiettate nella speranza e promotrici di carità. In questa relazione tenterò di spiegare come orientarci in quel contesto che affonda le radici alle origini della storia dell’uomo.
Il mio è un tentativo non è un teorema, e per questo insieme a voi desidero fare una preghiera allo Spirito Santo, perché illumini me, che scrivo, e voi, che leggete, in modo che la lettura porti frutti buoni per la nostra comunità.
Prima parte.
L’argomento da sviluppare in questa analisi non è né semplice, né facile. Cominciamo dal titolo che ho voluto enunciare fin dall’inizio in modo provocatorio ma anche in modo stimolante.
Oggi, la città; che per noi fedeli seguaci di Gesù Cristo rappresenta la città della condanna, della morte e della sua risurrezione; è ancora al centro della tensione internazionale. Le guerre che attorno allo stato di Israele si sono combattute e si stanno tragicamente combattendo, chissà ancora per quanto tempo, ruotano tutte attorno alla costituzione dello stato di Israele nel 1948.
Gli arabi e i palestinesi non hanno mai accettato e non accetteranno, forse mai, la esistenza di uno stato ebraico sui loro territori.
Perché?
Ho volutamente detto “stato ebraico” e non banalmente israeliano, perché la ragione profonda sta tutta nella religione, ovvero nelle religioni che su quel territorio si sono formate e costruite nei secoli.
Vedete, oggi molti di noi, anche negli ambienti intellettuali cattolici, vivono in una profonda ignoranza delle altre due religioni: l’ebraismo e l’islam. Fino a qualche decennio fa la nostra cultura religiosa cattolica era abbastanza estranea alle altre due religioni, cosiddette del Libro, perché le aree di intersezione e di conflitto culturale e religioso esistevano, sì, ma erano lontane dalla nostra quotidianità. Non ci toccavano più di tanto. La storia è sempre stata piena di eventi conflittuali tra le religioni, in particolare tra Islam e Chiesa di Roma, però nel secolo scorso c‘era stata una specie di convivenza non contrapposta, non belligerante.
Da qualche decennio a questa parte, le organizzazioni fondamentaliste islamiche si sono risvegliate e stanno mettendo in grosse difficoltà le nostre quiete abitudini di vita e di lavoro.
Perché?
Io tenterò di dare qualche chiave di lettura a questi due perché, e saranno chiavi plurime abbastanza complesse e che certamente non apriranno tutte le porte che sarebbe necessario aprire per capire i fenomeni sottostanti. La brevità della esposizione comporta che io tenti, per il momento, di enunciarne alcune.
Sul primo perché, è necessario fare riferimento alle radici dell’Islam. Ora, nella cultura musulmana e nella Sunna, che rappresenta la loro tradizione con tutti gli hadit del profeta Muhammad e dei sapienti interpreti difensori del Corano, la terra si divide in due parti: dar al Islam (terra dell’Islam) e dar al Harb (terra della guerra). Cioè, per il credente musulmano la terra è tutta destinata, per volere di Allah, a diventare terra dell’Islam. Non esiste l’eventualità e tanto meno la possibilità che possano esistere altre religioni su questa terra. Alla fine del mondo tutto il pianeta e i suoi abitanti dovranno essere sottomessi alla legge di Allah, clemente e misericordioso, perché tutti gli uomini devono salvarsi.
Come è possibile convertire all’Islam le popolazioni che non lo vogliono o che hanno altre fedi radicate nella loro storia? Semplicemente con la conversione forzata o con la legislazione civile che impedisce, alla fine, di poter praticare la propria fede originaria, oppure, come è successo a Cipro in questi ultimi anni, con la semplice distruzione delle chiese e dei luoghi di culto da parte dei turchi, che aspirano ad entrare nell’Unione Europea.
La storia della conquista araba, a partire dalla morte del profeta Muhammad, delle nazioni del Nord Africa, della Palestina, della Siria, della Persia, dell’India e della Spagna, si è svolta secondo quei canoni. Per esempio, la legislazione fiscale nei territori conquistati (parliamo degli anni che vanno dal 629 dopo Cristo in avanti, e quindi anche oggi), prevede che i fedeli delle altre due religioni del Libro, gli ebrei e i cristiani, possano praticare la loro fede nei luoghi di culto, esclusivamente, a patto che paghino una tassa speciale chiamata “al Dhimma”. Cioè, ebrei e cristiani hanno lo statuto dei protetti, nel senso che possono rimanere ebrei e cristiani, e nessuno glielo impedisce, solo se pagano questa tassa. Ora, questa tassa di protezione, che è una specie di pizzo alla siciliana, si è evoluta nei secoli. All’inizio della conquista araba era molto forte, consisteva nel versare all’autorità islamica anche il 50% del raccolto. Risulta evidente, anche a chi non se ne intende di fisco, che ebrei e cristiani alla fine o emigravano in altri territori o si convertivano all’Islam, e questa era la soluzione più semplice.
Questo status giuridico dell’ebreo o del cristiano veniva e viene chiamato Dhimmi, e nelle società musulmane essere un Dhimmi significa essere un cittadino di serie B, con minori diritti civili e minori opportunità di lavoro e di carriera nelle strutture dello stato islamico.
Ora, per ritornare alla spiegazione originaria sul conflitto contro lo Stato di Israele, la genesi della guerra è forse più chiara nelle sue radici religiose, perché quella terra oggi occupata dagli ebrei è stata dal 638 dopo Cristo,salvo qualche interruzione durante le Crociate, territorio musulmano: dar al Islam, e nella visione religiosa e culturale del musulmano un territorio che veda la presenza dell’Islam diventa automaticamente dar al Islam!!! Per sempre, fino alla fine del mondo.
Ecco perché il mondo arabo e musulmano non sopporta l’idea dell’esistenza dello stato di Israele.
Folla in preghiera al Muro del Pianto nel cuore della città vecchia
Seconda parte.
Sul secondo perché, è necessario fare riferimento alla storia della filosofia islamica. In una conferenza tenuta a Venezia dal professor Hasan Hanafi, docente di filosofia presso l’Università del Cairo in Egitto, ho appreso che la cultura islamica universitaria si sente orfana del nostro progresso filosofico. Hanafi ha dichiarato apertamente che lo stato della loro evoluzione filosofica è fermo al nostro Medioevo, e che il sogno dei filosofi egiziani, ma non solo, è quello di riuscire a far germinare nella cultura islamica quei fermenti di apertura al progresso scientifico e culturale che, in gran parte, il sistema di potere dei capi religiosi ha impedito e continua ad impedire, terrorizzati come sono dalla comparsa dei concetti di libertà di pensiero, di libertà di parola, di libertà di coscienza, di libertà di religione.
Come vedete le spiegazioni dei fenomeni sociali e politici non sono mai semplici, anzi.
Allora è chiaro che la violenza, il terrorismo, le guerre contro l’Occidente, e soprattutto contro il cristianesimo, rappresentato dalla Chiesa di Roma, hanno alla loro origine delle motivazioni così forti che non si possono contrastare o vincere semplicemente con la guerra contro le potenze islamiche.
Noi fedeli della Chiesa di Roma dobbiamo fare tesoro degli insegnamenti profondi e illuminati del nostro Papa emerito Benedetto XVI. Nell’incompreso discorso magistrale, tenuto all’Università di Regensburg durante la visita nella sua terra natale il 12 settembre 2006, il nostro Papa aveva messo bene in evidenza come il dialogo sia possibile a partire dalla conoscenza reciproca e non dalla violenza e dalla sopraffazione, come oggi, purtroppo, il fondamentalismo islamista fa vedere con sempre maggiore sgomento.
Probabilmente, il culmine dell’argomentare del Papa emerito si trova nell’espressione: «Il non agire secondo ragione è alieno da Dio». Questa convinzione accompagna certamente l’intera tradizione cristiana da sempre; la sua concettualizzazione, comunque, trova terreno fecondo ai tempi di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Non è il caso di far riferimento ai testi di Agostino o di Anselmo in proposito. Non è questa la sede.
Ricordo che la riflessione del Papa ai docenti dell’Università di Regensburg, dove lui aveva insegnato da giovane sacerdote, riguardava la ragionevolezza della fede religiosa, e che non si poteva certamente ritenere ragionevole una fede religiosa, come la islamica, che prevedeva di dare la morte ai civili con i kamikaze, e ai musulmani che cambiavano religione, con la lapidazione.
Ora, vedete di tentare una riflessione, secondo la vostra esperienza, sul come si deve sentire un insieme di persone credenti in un certo credo religioso che comprende non solo la fede, ma anche la politica, l’economia, il diritto, la filosofia, la vita quotidiana; quando cominciano ad introdursi nel loro sistema culturale i germi della diversità e dell’innovazione. Sembra naturale una reazione di chiusura e di conservazione. Poi, se la religione e i predicatori sostengono che la diversità, e l’innovazione, provocherebbero la distruzione della loro fede, beh, pensate un po’ come reagirebbero queste popolazioni. Quindi, è naturale e ovvia la reazione violenta e irrazionale contro chiunque tenti di parlare di comprensione e di dialogo. Il fondamentalismo, qualunque sia la fede, è sempre violento e irrazionale, disastroso e irrecuperabile per le popolazioni che vengono coinvolte, loro malgrado, nelle tempeste della rabbia e dell’odio.
Il guaio, per noi cristiani, è che i nostri intellettuali cattolici, e anche parte degli ecclesiastici, poco conoscono della vita reale in quelle società dove il fondamentalismo è pratica quotidiana con i massacri e il terrore, e parlano di Islam moderato e di musulmani moderati, che pure esistono, perbacco, ci mancherebbe! Però il musulmano moderato in quei contesti culturali deve prima di tutto pensare alla sua vita e alla sua famiglia e al suo lavoro, mica può mettersi a parlare contro il fondamentalismo. Immediatamente verrebbe accusato di apostasia e condannato a morte. Ma anche in Europa e in Italia i musulmani moderati devono guardarsi dal manifestare in pubblico il loro dissenso contro il terrore. Gran parte degli imam che reggono le moschee in Italia sono di formazione Wahabita, e sono gli strenui assertori della guerra santa, dell’odio contro la chiesa di Roma, e della violenza contro l’Occidente.
Come vedete non è facile entrare in Gerusalemme senza un bagaglio culturale adeguato. Si rischierebbe di prendere qualche cantonata poco salutare. Gerusalemme è destinata a restare ancora per molti anni al centro delle tensioni internazionali.
Antico mosaico della città di Gerusalemme che si trova a Madaba in Giordania
È necessario, però, fare anche altre considerazioni di natura metastorica, bisogna andare oltre l’analisi dei fatti e degli eventi per portarsi su un terreno quasi teologico.
Per esempio, è quanto mai opportuno inquadrare la situazione temporale di Gerusalemme nella dimensione della divinità. Dio c’entra nella storia degli uomini? Dio ha un ruolo nella nostra vita presente e futura?
I credenti in Dio quale contributo possono dare, o meglio, quale contributo devono dare per essere congruenti al disegno di Dio nella storia della salvezza?
Ecco, queste semplici considerazioni ci portano a puntare la lampada della nostra ricerca su cammini ancora poco esplorati e che richiedono il coraggio e la fantasia di un Cristoforo Colombo, stimolano la creatività degli spiriti liberi e nello stesso tempo profondamente legati a Dio e al suo piano di salvezza per tutta l’umanità.
Allora entriamo a Gerusalemme per capire qualcosa di più delle tre religioni del Libro, e per salire al suo monte santo con la convinzione che, una volta arrivati sulla cima, ci si possa sedere e riflettere sul nostro destino e sul ruolo giocato da Dio nel mettere sullo stesso monte i credenti: ebrei, cristiani, musulmani.
Immaginiamolo questo Dio che parte con la creazione del mondo e dell’uomo, che manda profeti al suo popolo Israele, che manda il suo Figlio Gesù a salvare l’umanità dal peccato originale per aprire agli uomini la strada della salvezza osservando la sua parola, il suo insegnamento; che lascia la responsabilità a un credente arabo, Muhammad, di fare una sintesi originale e sovversiva della Bibbia e del Vangelo da predicare, per sottomettere, mai pacificamente, intere popolazioni a quella nuova sintesi religiosa.
Ma ci abbiamo mai pensato a questa situazione?
Abbiamo mai avuto modo di capire cosa vuole Dio da noi in questa nostra condizione umana?
Abbiamo mai realizzato l’idea che Gerusalemme rappresenta la chiave di volta della salvezza di tutta l’umanità?
Ecco alcune domande, ancora provocatorie e stimolanti, che forse non trovano risposte semplici e immediate, ma alle quali è assolutamente necessario trovare un riscontro.
Terza parte.
Vediamo ora una sintesi su Gerusalemme nelle tre religioni monoteistiche, come luogo storico e come tema teologico.
La città di Gerusalemme ha assunto nelle tradizioni delle tre religioni un valore simbolico e un pregnante significato spirituale.
Per l’Ebraismo, Gerusalemme non fu mai città di luoghi sacri, né luogo-ricordo di eventi passati; essa è in se stessa Santa, simbolo dell’esistenza e della continuità di un popolo cacciato, umiliato, massacrato, che mai disperò della promessa della sua restaurazione espressa nella Bibbia dai salmi e dai profeti, ed è sempre viva, attraverso i secoli, nella liturgia, nelle preghiere e nelle aspirazioni individuali di ogni giorno.
La letteratura rabbinica accolse il simbolismo della “Gerusalemme celeste”, dirigendolo prima di tutto e soprattutto verso la Gerusalemme terrestre, come centro di raccolta di tutto il popolo. Additò, anzi, nella terrestre l’archetipo della celeste; anche i grandi mistici non separarono mai l’una dall’altra; e il Talmud (raccolta delle discussioni tenute nelle accademie giudaiche) mette sulla bocca di Dio l’espressione: “Non entrerò nella Gerusalemme celeste se prima non sarò entrato nella Gerusalemme terrestre”, da qui il significato del bellissimo saluto tra gli ebrei: “l’anno prossimo a Gerusalemme”. La tradizione ebraica mantiene un’idea globale di Gerusalemme, con tutto il suo significato geografico, economico, etnico, politico, che non esclude, certo, ma neppure evidenzia in modo particolare, il suo significato religioso.
La considerazione cristiana di Gerusalemme ha sempre oscillato tra la dimensione terrestre e la dimensione celeste della città santa. Della Gerusalemme celeste parlano le fonti cristiane (Apocalisse 12, lettera agli Ebrei 12,22, lettera ai Galati 4,26): essa è l’archetipo della terrestre, è la madre di tutti i cristiani, immagine della Chiesa. Il centro del cristianesimo è infatti Cristo, e la santità risiede nella comunità, non in un luogo.
Vi è anche un vivo interesse per la Gerusalemme terrestre (e la Palestina) dove si svolsero i grandi eventi della storia cristiana, legati a un contesto locale e storico ben preciso: la presentazione al tempio, l’infanzia, la predicazione, la passione, la morte, la risurrezione, l’ascensione di Gesù Cristo; la pentecoste, la nascita della prima comunità cristiana. Per questi motivi la Gerusalemme celeste non soppiantò mai la terrestre, la de-territorializzazione non fu mai assoluta.
Come manifestazione terrestre della forma perfetta della città di Dio (Gerusalemme celeste), essa ha ispirato numerosi progetti urbanistici del medioevo e del rinascimento. Le descrizioni dei pellegrini dei primi secoli del medioevo diffusero in Europa l’immagine del tempio di Gerusalemme, riprodotto in un grande numero di edifici religiosi a pianta centrale sul modello della moschea di Omar (la cupola della roccia). La stessa identificazione della moschea di Omar con l’immagine dell’antico tempio fu a lungo diffusa nell’iconografia popolare ebraica europea.
L’atteggiamento dell’Islam verso Gerusalemme si ispira essenzialmente alla sura 17,1 del Corano: “Lode a colui che trasportò il suo servo dal tempio sacro al tempio più remoto”, in arabo “Al Aqsa”. I musulmani identificarono il “tempio più remoto” con l’attuale moschea e legarono quindi la città alla figura di Muhammad. Questo legame e quello di Abramo (e di suo figlio Ismaele capostipite degli arabi) con il monte del tempio hanno fatto sì che Gerusalemme sia considerata la terza città santa dell’Islam (dopo La Mecca e Medina). Nei primi tempi la preghiera canonica musulmana non fu rivolta verso La Mecca, ma verso Gerusalemme. Maometto cambiò la direzione dopo aver ordinato e partecipato al massacro delle tribù ebraiche di Medina, che non lo vollero accettare come ultimo profeta inviato da Dio.
Scorcio della Moschea di Omar, Cupola della Roccia, collocata sulla spianata delle moschee sopra il Muro del Pianto nella città vecchia
Fatte queste semplici ma puntuali precisazioni su cosa rappresenta Gerusalemme per le tre religioni, ritorniamo a riflettere su di noi in rapporto alle altre due religioni proprio lì a Gerusalemme. Mi piacerebbe raccontarvi del ruolo della Custodia della Terrasanta e dei frati francescani, dall’inizio del pellegrinaggio di San Francesco nel 1219 proprio nella terra di Gesù, fino ad oggi. Lo faremo in altre occasioni.
Ora, dopo l’esposizione fatta fin qui, mi sembra ancora stimolante fare ulteriori considerazioni del disegno divino su Gerusalemme. Premesso che la storia sacra, dalla Bibbia al Vangelo, ci fornisce elementi di riflessione abbondanti sul destino dei credenti, certamente non ci fornisce risposte alle domande enunciate in precedenza se non in una dimensione escatologica, in una proiezione verso l’eternità dove la fede gioca un ruolo assoluto ma non fornisce risposte valutabili con i criteri della scientificità cui siamo abituati nella nostra cultura occidentale.
Immaginiamo di poter osservare dall’alto del monte Sion i fedeli delle tre religioni nella loro vita quotidiana.
Gli Ebrei, i nostri fratelli maggiori, fedeli assertori dell’attesa del Messia che deve ancora venire, che vanno a pregare nelle sinagoghe, si appressano con grande fede al Muro del Pianto, ultimo baluardo delle grandi mura del tempio distrutto dall’imperatore romano Tito nel 70 dopo Cristo, e che vivono la loro quotidianità intrisa di speranza e di terrore. Perché mi sembra ovvio che attorno allo stato di Israele, dalla sua fondazione, si coalizzano in modo ossessivo le forze armate del terrorismo arabo e palestinese. L’atteggiamento del fedele ebreo, mi sembra tanto condizionato da questa situazione concreta di disperazione che immagino preghi Dio che liberi Israele dai nemici che lo opprimono, come tutta la Bibbia ricorda, in particolare nei Salmi.
Vediamo il fedele cristiano, quasi sempre di origine palestinese, che in condizioni di minorità sociale e economica si rivolge fiducioso a Dio-Gesù Cristo nelle tante chiese, tante quante sono le confessioni cristiane presenti a Gerusalemme, pregandolo di concedere la grazia della pace in quel martoriato angolo di mondo da sempre sotto il tiro della violenza e dell’oppressione. Poveri cristiani! Loro veri credenti nella pace e fautori di pace vedersi trattare come fossero dei nemici dello stato di Israele, perché palestinesi in gran parte, e quindi visti con sospetto e diffidenza anche dai loro concittadini musulmani, perché espressione della Chiesa di Roma.
E infine osserviamo il fedele di Allah e seguace del profeta Muhammad che puntualmente cinque volte al giorno prega al richiamo del muezzin e si rivolge ad Allah, clemente e misericordioso, e al venerdì va alla moschea dove a volte viene arringato dagli imam, o dalle altre autorità islamiche, a prepararsi alla guerra e al martirio, pronto per qualunque “intifada” e che cova dal lontano 1948 l’idea della vittoria sullo stato di Israele e proprio per questa terribile determinazione, pronto ad immolarsi suicidandosi, così assassinando altri incolpevoli e inermi cittadini.
Dei tre credenti, mi sembra che il cristiano sia il più esposto alla scomparsa dalla città santa, proprio perché preso tra due blocchi sociali e economici che gli rendono la vita sempre più difficile. D’altra parte i cristiani sono anche gli unici a perseverare nel loro sforzo di dialogare con tutte le altre fedi di quei territori.
Forse questa cultura di base, che manca sia agli ebrei che ai musulmani, li espone ancora di più ai rischi di esclusione sociale ma nello stesso tempo li rende attori credibili e testimoni convinti della convivenza senza odio e senza terrore.
Ecco perché è importante la presenza cristiana a Gerusalemme. I cristiani che praticano gli insegnamenti di Gesù saranno sempre perseguitati, subiranno sempre le angherie del potere politico e religioso delle altre fedi, però è anche vero che solo i cristiani hanno dalla loro la cultura del dialogo, e bene ha fatto e continua a fare la Chiesa di Roma, prima col Papa Benedetto XVI e ora con Papa Francesco, ad insistere su questo e a mettere in evidenza le contraddizioni di chi vorrebbe, come ai tempi di Gesù, far tacere la voce che stimola alla riflessione e alla conversione dei cuori. Altro che pace islamica! Ricordo banalmente che questa sarebbe possibile solo quando tutta l’umanità fosse musulmana, e quindi sottoposta ad una dittatura del potere religioso.
I cristiani hanno, quindi, un ruolo ancora strategico in quella città e in quei territori, sono ancora come ai tempi di Cristo segno di contraddizione nei riguardi di chi coltiva la violenza e la sopraffazione come criterio guida per il governo dei popoli.
Sono ancora i profeti inascoltati della parola di Dio che chiama tutti i popoli a salire sul suo monte santo!
Ingresso alla basilica del Santo Sepolcro
Successo della serata del 13 agosto con la testimonianza di suor Ginetta Aldegheri, della Congregazione delle suore Dorotee Figlie dei Sacri Cuori, di Vicenza, insegnante dell'Istituto Effetà, Paolo VI, di Betlemme.
Il periodo feriale non ha influito sulla partecipazione dei devoti della Divina Misericordia e dei parrocchiani, invitati per la suggestiva serata. Oltre cinquanta persone hanno pregato, e ascoltato con attenzione e commozione il lavoro straordinario di queste suore per la rieducazione dei bambini sordomuti dei territori palestinesi.
La metodologia messa a punto dalle suore è di tale efficacia che alla fine della scuola i ragazzi parlano e diventano autonomi nelle loro relazioni e nel loro lavoro. Vanno addirittura all'Università, si laureano e diventano dei bravi professionisti.
Quest'anno, 2012, sono ricorsi i 40 anni della presenza a Betlemme delle Suore Dorotee Figlie dei Sacri Cuori, suor Ginetta ha progettato ed eseguito il logo che è stato collocato all'ingresso della scuola. Durante le cerimonie liturgiche nella chiesa dell'Istituto, faceva bella mostra di sé anche il ritratto di santa Maria Bertilla Boscardin, eseguito dal noto maestro Paolo Canciani di Dosson di Casier - Treviso.
logo progettato ed eseguito da suor Ginetta con la tecnica a mosaico.
Suor Ginetta e gli operai di Betlemme davanti all'ingresso della Scuola Effetà
Ritratto di Santa Maria Bertilla Boscardin, Suora Dorotea, eseguito dal Maestro
Paolo Canciani ed esposto a lato dell'altare della chiesa di Effetà durante la festa
per i 40 anni della fondazione della Scuola.
Poesia di Gianfranco Trabuio dedicata alle Suore Dorotee dell'Effetà.
Effetà
Dove Gesù hai messo i tuoi piedi
quante opere sorgono
e dove tua madre
ti ha portato
ti ha accompagnato
da Nazaret a Betlemme
al Calvario di Gerusalemme.
Tu che hai fatto udire i sordi
e parlare i muti
hai generato una stirpe di testimoni
queste suore del Farina
sorelle Dorotee dei Sacri Cuori
si sono portate lontano
sulla tua terra
per continuare la tua opera
aprire alla parola
per aprire il cuore.