È con grande entusiasmo che ho accettato l’invito di FLarte, da parte di Paola Salmaso Lucianetti, di scrivere qualcosa di molto importante nella storia culturale e umana di Francesco Lucianetti con riferimento al tema delle acque nella sua vasta e variegata produzione artistica.
Con Francesco Lucianetti, architetto, scultore, incisore, grafico e pittore, ho avuto una frequentazione artistica nel corso di quarant’anni, fino al termine della sua esperienza terrena, e condensare in un articolo un tema così composito della sua produzione artistica come quello delle acque è un’impresa certamente complessa.
Troppo intensa è stata la sua ispirazione su questa frontiera e molto articolata la sua produzione, proprio perché Francesco non si limitava ad un’unica strategia compositiva nelle sue opere. Era talmente grande il fuoco che aveva dentro la sua immaginazione e inesauribile l’amore per le rappresentazioni pittoriche, che certamente sarà ricordato come uno dei più rappresentativi artisti della nostra contemporaneità.
Prima di tutto è necessario ricordare come Francesco fosse un uomo che amava le acque in quanto navigatore esperto nell’arte della vela e appassionato vogatore, pertanto la sua frequentazione con quegli ambienti così suggestivi e stimolanti non poteva non influire sulle sue manifestazioni artistiche, che tento di semplificare trattandole come un sistema di coordinate in un iperspazio creativo dentro al quale lui poteva proprio navigare traendo le ispirazioni multifattoriali che poi manifestava in modo stupendamente aggressivo e provocante sulle tele e sulle carte. Bisognava viverci accanto quando lavorava alle sue espressioni artistiche per intuire quale vulcano avesse dentro il suo cuore di uomo innamorato della natura e della storia. Sì, perché per Francesco non c’erano separatezze tra i vari temi, la sua cultura era talmente vasta e articolata che comunque quello che produceva aveva un fascino straordinario, e non tutto quello che dipingeva o narrava con lo stilo era di facile comprensione. E quando qualche estimatore delle sue opere era in difficoltà a capire o a interpretare quello che aveva realizzato, reagiva quasi arrabbiato, a me è capitato.
Poiché con Francesco abbiamo lavorato insieme nel mondo dell'arte, non potevano mancare alcune mie poesie che lui da grande grafico ha illustrato in alcuni dei miei canzonieri.
Ora, ritornando a quella mia intuizione, di tipo matematico-geometrico, parlando di iperspazio provo a partire da una prima coordinata: le acque della sua amata città di Padova.
Credo che l’opera più emblematica sia la litografia sui porti lungo le vie d’acqua che qualche secolo fa attraversavano la città di Antenore. Ammirare l’opera significa immergersi nell’animo dell’artista che immagina di essere a bordo di un drone e fotografare Padova cinta dalle sue mura e percorsa dai suoi fiumi e dai canali di collegamento, in una visione di vita quotidiana, con le barche che fluiscono con le merci verso i porti, le attività industriose degli uomini, i palazzi importanti e imponenti, le porte di accesso alla città….. Il tutto cablato come in un mosaico dove l’antropologo e lo storico possono immergersi e narrare come in un film la vita pulsante della città degli uomini. Sì, perché Francesco aveva dalla sua una conoscenza straordinaria della storia e dei costumi che rappresentava con una minuziosità che solo l’occhio dell’esperto poteva vedere e vivere nella sua compiutezza.
Seconda coordinata: Venezia e la sua laguna. Francesco aveva avuto modo di immergersi nella vita e nella storia della Serenissima durante il suo percorso di studi presso l’Istituto Universitario di Architettura, aveva avuto modo di assaporare quel clima culturale magico che nei secoli innumerevoli poeti e paesaggisti avevano cantato nelle loro opere.
Francesco è stato un grande ritrattista di Venezia, città dalla quale partiva per le sue scorribande navali in Alto Adriatico. Di lei amava tutto: i palazzi che si specchiano sull’acqua, la nebbia sottile che pervade ogni angolo di Laguna, i colori sgargianti del Carnevale, il mistero che la combinazione di questi fattori dona a una città unica. L’ha rappresentata in tutti i modi: come maestosa regina della Laguna nella fierezza dei suoi cavalli di bronzo, come teatro di maschere arcane immerse nella nebbia dorata, come ancella fedele della sua tavolozza di colori, indomabile e allo stesso tempo domata dall’arte. Così era per lui Venezia. Francesco riusciva a incanalare con la sua tecnica sopraffina l’eterna bellezza di Venezia e delle sue acque. Per rappresentare tanta maestà Francesco preferiva i colori dell’oro, dell’argento, del verde smeraldo, fondendoli insieme per rappresentare la placidità delle acque della Laguna, i tremolii delicati della bruma o le superbe architetture, che così bene ritraeva nelle più ardite prospettive.
BORA
Dalla laguna eri emersa
e venivi a riva
altera
romantica
avvolta di mistero
fasciata di nero
lontana
intoccabile
appartenevi a un’altra casta.
E sei casta
intoccabile a un paria
che invano ha osato
guardare di dentro
scoprendo tesori preziosi
inaccessibili
ai generosi slanci
tutti negletti
e tu statua che vaghi
solenne
tra freddi di bora
ti allontani
lenta
perché sottile
sia il dolore.
(da "Canti Veneziani", Piazza Editore, Silea, 2021)
Terza coordinata: la Brenta e le sue ville. Come condensare in poco spazio l’immensa potenza espressiva di Francesco nella produzione di tutte le ville dei patrizi veneziani lungo il Naviglio della Brenta, da Padova a Venezia e ritorno. Come in tutte le opere del nostro artista non è sufficiente guardare l’insieme della rappresentazione per intuirne la poetica. Il lirismo emerge dai particolari della grafica che fa intuire la vita dei personaggi che hanno dato vita a quelle architetture solenni, a quei parchi, ai giardini, alle peschiere. Ma soprattutto la poiesis della poesia scaturisce dal lento fluire delle acque dalla dolcezza del clima culturale, dagli intrecci amorosi che generosamente quel clima provocava e dall’immergersi nella natura, nell’ambiente agreste.
SIDDHARTA
Hai così vaga l’anima
e
sei presente
con mille emozioni
su questo fiume
lento
manca Siddharta e
manca la barca
ma
io ti vedo
ninfa superba
sull’acqua
e mi lascio portare
tra i canneti
un andare infinito
verso una laguna d’amore.
( Da "Non varrà più la pena", Edizioni La Press, Fiesso d'Artico, 1991)
Quarta coordinata: le acque della campagna veneta. La pianura veneta è il biotopo delle risorgive, l’ambiente tanto caro a tutti i narratori della bellezza dei sentimenti e delle emozioni che scaturiscono dalla pace della campagna veneta.
Ed è in quella narrazione e in quell’ambiente che si innesta il polittico litografico che ben esprime la poesia della voga di due barche con i rematori in piedi a poppa nella tipica voga veneta, nelle placide acque della laguna e delle barene in questo paesaggio fluviale. Suggestiva per i sentimenti che trasmette è la figura femminile, nel più efficace messaggio muliebre, a prua di una delle barche mentre gioca con i cigni prossimi all’imbarcazione. L’ambiente da solo comunica la pace e la serenità tanto rare nelle opere di Francesco. E anche in questa scenografia suggestiva non manca il ranocchio come un cartiglio ai piedi del polittico a indicare la firma dell’autore.
MIO VENETO
Campagna amica mia
dai fuochi sui campi nebbiosi
di tralci potati da viti inesauste
mio Veneto mia terra
laborioso e solerte
ferace e fedele
gioioso ed arguto
generosa e mai stanca
questa mia terra amata
ti guardo dal treno
e mi mandi emozioni
ricordi vissuti con te
tenera amante
di corse sfrenate
di cime salite
di guadi nascosti
al tramonto che manda
gli ultimi slanci di un sole velato
una stretta al cuore
nostalgia di un’attesa
ma c’è un focolare.
(Da "Primavera di speranza", Piazza Editore, Silea, 2010)
Quinta coordinata: le barche a vela. Dulcis in fundo la quinta coordinata dell’iperspazio lucianettiano: le barche a vela. Da grande velista non poteva mancare nella iconografia di Francesco l’amore per la vela e per il mare. Il messaggio che traspare in queste immagini è la spinta del vento che gonfia le vele e spinge il nostro Francesco verso porti e approdi lontani, sempre comunque ricchi di novità per un artista mai sazio delle sue scoperte.
Concludo questa rassegna, senza dubbio breve e sintetica, sulla poetica delle acque in Francesco Lucianetti descrivendo il messaggio fortissimo che viene veicolato da una scultura bronzea: il celestial nocchiero. Un rematore, con due remi, emblema della voga veneta, in piedi a poppa, nella sua barca fantastica, in stile marinettiano futurista a rappresentare la inesauribile potenza espressiva del nostro artista.
LA LUCE E L’ESTASI: EUGENIO BERTIN, PITTORE
Quando ci si trova davanti a un artista così completo e complesso, e per di più con una antologia delle opere create nell’arco di decenni, ci sono di fronte all’osservatore attento due strade divergenti, la prima porterebbe a analizzare i quadri realizzati secondo una scansione temporale, la seconda privilegerebbe, invece, la dimensione tematica.
Bertin, è un artista ormai maturo, con all’attivo decenni di creatività inesauribile e con un consolidato percorso culturale che lo ha visto, sin da giovane, impegnato a rappresentare la realtà attraverso le lenti della sua sensibilità straordinaria e raffinata.
Non dimentichiamo che l’artista è la sua opera. È lui che prima di tutto bisogna conoscere, è necessario e indispensabile indagare sulla sua personalità di uomo e di artista, sul suo percorso evolutivo sia caratteriale che artistico se si vuole avere una qualche possibilità di successo nella comprensione delle sue opere.
Il fatto che sin da bambino abbia coltivato il desiderio di rappresentare il mondo della natura circostante, ci fa capire come l’Eugenio sia nato con questo dono meraviglioso di essere un interprete attento e curioso del mondo circostante. Una nota caratteristica che ci fa capire un po’ di più della natura estetica dell’uomo Bertin, è la sua passione per la musica, coltivata fino all’alba della giovinezza studiando e suonando la fisarmonica.
Ora, è noto quanto ci sia di affinità espressiva tra pittori, musicisti e poeti. Anzi, penso di poter affermare che queste tre categorie di artisti hanno in comune una sensibilità nella percezione della realtà e nella sua rappresentazione, che li accomuna in una sorta di unicum estetico che li porta ad esprimersi con efficacia nella loro specificità.
Anzi, al riguardo posso citare il pensiero del filosofo greco Aristotele sul come concepiva l’artista, il poeta. La poesia, egli scrive nella sua Retorica, è un non so che di ispirato: “Ενθεον γάρ ή ποίησις”, e nella sua Poetica egli parla di una sorta di frenesia, di estasi: “μανιχοί, έχστατιχοί” che consente all’artista di identificarsi con i suoi personaggi e con i suoi paesaggi, di perdersi liricamente in essi. Per Aristotele la creazione artistica sia del poeta come del pittore è un fatto divino.
Non c’è altra spiegazione cogente che permetta di capire la costanza, la tenacia di Eugenio Bertin, che lasciata la sua terra gira il mondo per visitare musei e mostre, manifestando un desiderio di conoscere e di capire, dimostrando in questa sua ansia proprio la frenesia di cui parlava Aristotele e alla fine giunto davanti alle opere, rimanere estasiato nel contemplare la bellezza e la forza dell’espressione lirica degli artisti.
Immaginando un ipotetico “viaggiatore” che visitasse la mostra di Bertin gli suggerirei di gustare le opere secondo le loro rappresentazioni tematiche.
In particolare le multiformi immagini che hanno un tessuto narrativo tutto incentrato sulla campagna veneta, la nostra campagna, raccontata in un fantasmagorico gioco di erbe, di fiori, di acque e di colori come in un caleidoscopio senza fine.
Ancora, un tema caro a Bertin è il mare e la laguna con tutte le sfumature delle stagioni e dei lavori degli uomini sulle loro barche da pesca.
Di grande impatto emotivo sono le vedute e i paesaggi della Venezia storica. Venezia nei suoi scorci più suggestivi, trasformata, trasvista, in un gioco di emozioni che rimanda a una corrente pittorica che mi sembra opportuno identificare come “espressionismo veneto”.
L’allegra rappresentazione dei suonatori di jazz e delle ballerine che rimanda alle visioni romantiche e decadenti dell’impressionismo francese di Degas e di Toulouse Lautrec, in un gioco di rinvii fantasiosi che sfiorano la malinconia nell’osservatore attento e appassionato.
Grande successo della presentazione del poeta di Casale sul Sile, Gianni Busato. Ieri sera nella piazza della cittadina con una scenografia originale e suggestiva coordinata dalla brava presentatrice Nicla Angiolini, delle brave attrici hanno recitato alcune delle poesie accompagnate dalla musica del pianoforte e del flauto.
PRESENTAZIONE DEL POETA GIANNI BUSATO
CASALE SUL SILE 14 SETTEMBRE 2012
OPERA: I LUOGHI DELL’ANIMA
TEMA: l’arte come scintilla del divino
La dignità dell’artista sta nel suo dovere di tenere vivo il senso di meraviglia del mondo. (Gilbert Keith Chesterton)
Quando Gianni Busato ha deciso di pubblicare il suo libro di poesie, è stato guidato da un’intuizione che solo un vero artista possiede, e raccogliere in un unico contesto tutte le sue variegate emozioni trasformate in versi poetici, è stata una scelta coraggiosa e della quale mi sento in parte responsabile. Ma non sono il solo ad avere questo onere, c’è anche la brava dottoressa Nicla Angiolini, che detto nel nostro gergo è stata lo spirito guida di tutta l’operazione. La scelta felice di abbinare ad alcune poesie del Gianni, i suggestivi acquarelli di Nicla, forniscono allo stimatore dell’arte un godimento tutto interiore, non solo emotivo ma spiritualizzato.
Vorrei iniziare proprio da questa considerazione per avviare un ragionamento attraverso il quale riuscire a far esplodere la carica di spiritualità che governa l’uomo Busato.
“Nell’arte e nella poesia è custodita un’allusione al divino e al paradiso”: è questa una stupenda intuizione che Nikolaj Vasilievic Gogol, uno dei grandi della letteratura russa, espresse nel suo racconto “Il ritratto” del 1835, ma è questo anche uno dei tanti comuni e banali asserti che si ripetono, forse per assuefazione accademica o con ironica accondiscendenza. Si dimentica così che l’arte come scintilla del divino è una conquista della visione biblica della realtà: laddove la prospettiva del pensiero antico riconosceva nella bellezza una qualità dell’essere, la rivelazione biblica scopre un gesto personale di Dio creatore, che con gusto artistico dissemina nel cosmo le sue vestigia.
Sant’Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto (295 - 373), con sguardo estatico, vede nel mondo creato l’impronta della sapienza divina: «Ma se il mondo è stato organizzato con sapienza e conoscenza ed è stato riempito di ogni bellezza, allora si deve dire che il creatore e l’artista è il Verbo di Dio». Dio come artista precede ogni artista umano, che con i suoi strumenti aggiunge una pennellata di bellezza a questo mondo splendido, in cui la Sapienza ama trastullarsi accanto ai figli degli uomini.
Questa breve digressione è importante per entrare nella poetica del nostro Autore. Anche solo la recitazione delle poche poesie che abbiamo ascoltato, ci fanno balenare questo uomo pellegrino nel mondo alla ricerca delle radici della sua spiritualità.
Sembra superfluo ricordare che la produzione artistica si fa segno autentico del divino non per un suo vuoto sforzo di teoresi, ma nella misura in cui essa riesce a parlare di Dio, e in questi termini offre già un servizio ottimo al cammino di fede dell’uomo.
Cosa vuol dire “essere artisti”? Chi è artista? Nella contemporaneità si è affermata l’opinione che essere artista non sia una condizione particolare, ma che ciascuno sia un artista, in quanto non servirebbero talenti e formazione, ma l’unico ingrediente necessario sarebbe la creatività libera da ogni schema. Nelle biografie di molti artisti del Novecento, emergono inoltre abitudini disordinate, atteggiamenti eccentrici, comportamenti autodistruttivi, tanto che sembrerebbe che tale tipo di vita sia un ingrediente necessario per riconoscere il vero artista, sia esso un pittore, uno scultore, un musicista, un poeta.
Ma ci sono espressioni artistiche che sono vere strade verso Dio, la Bellezza suprema, anzi sono un aiuto a crescere nel rapporto con Lui, nella preghiera. Si tratta delle opere che nascono dalla fede e che esprimono la fede.
RASSEGNA MOSTRE
PALAZZO SCOTTI – TREVISO
PRESENTAZIONE DEL PITTORE PAOLO CANCIANI
“IL MIO VENETO”
L’evento al quale partecipiamo questa sera è certamente un momento di grande importanza per l’artista, questa è la sua prima mostra personale di così ampia produzione e di così rilevante evidenza mediatica.
Paolo Canciani non è certamente uomo da mass media, è una persona tanto schiva, quanto laboriosa; tanto lontano dalla competizione dei premi e dalla pubblicità, quanto addentro alla comprensione della realtà nei minimi dettagli.
La sua è una storia artistica lontana dalle accademie e dalle scuole, è tutta all’interno della sua vita a partire dall’infanzia. Ci troviamo di fronte a una personalità di pittore non usuale.
Solitamente ci si trova di fronte a artisti che hanno una loro provenienza accademica, sono stati a scuola da maestri, o quanto meno si sono ispirati a certe scuole.
Il caso di Paolo Canciani è piuttosto atipico. Lui ha cominciato a cimentarsi con i colori e la tela già da bambino, e la sua più grande ispirazione è stata la rappresentazione dell’acqua in tutte le sue infinite sfumature.
Lui ricorda ancora con nostalgia le gite in bicicletta che faceva col papà negli anni 60 alla spiaggetta di Tessera, quando molti dalla terraferma mestrina andavano al mare di casa proprio di fronte alle barene dove stavano costruendo l’aeroporto Marco Polo.
È curioso iniziare a raccontare la vita dell’artista invece di addentrarsi nelle sue tele per tentare di catturare la delicata e suggestiva vena narrativa. È invece necessario, proprio perché la maturazione dell’artista ha un suo percorso di grande impatto emotivo e noi riusciamo a coglierlo solo se lo seguiamo nella sua maturazione.
Per esempio, a 10 anni ha vinto un primo premio in una mostra a San Giuliano, alla periferia di Mestre, verso Venezia.
Un altro dato caratteristico dell’artista è la sua provenienza professionale, per alcuni anni ha fatto il carrozziere, attività che gli ha consentito di apprendere, e di impadronirsi, delle tecniche di miscelazione dei colori di base, per raggiungere tutte le sfumature coloristiche che oggi vediamo rappresentate con grande maestria nelle sue tele.
Ecco illustrata in sintesi la provenienza culturale e artistica di Paolo Canciani, che possiamo ancor di più caratterizzare affermando la sua assoluta indipendenza da qualunque scuola, il suo essere pittore nel senso estremo della parola, avendo iniziato da bambino la sua confidenza con colori e paesaggi, infine, il suo amore per l’acqua in tutte le sue manifestazioni naturalistiche e che vedremo tra poco andando a gustare le sue tele.
Il titolo della mostra, “IL MIO VENETO”, è quanto mai suggestivo per un artista che ha le sue origini in Venezia e che sta passando la sua maturità nella campagna trevigiana. Ambedue queste realtà territoriali sono molto correlate con l’acqua, Venezia perché vi è costruita e la Marca trevigiana perché ne è percorsa fittamente da fiumi, da canali e, addirittura, da risorgive superficiali.
Quindi niente di più facile per il nostro artista trovare gli stimoli per le sue ispirazioni pittoriche, dal momento che i due temi fondamentali della mostra traggono origine proprio da questi scenari paesaggistici.
Da una parte Venezia, gli angoli nascosti della città, quelli più ameni e suggestivi, dall’altra gli scorci della Treviso delle acque e delle campagne feconde, ricche di alberi e di coltivazioni.
Entriamo quindi nel tema del Veneto, il nostro Veneto, la nostra terra amata e vissuta in profondità per la ricchezza della sua storia e delle sue originalità antropologiche e culturali.
Certosa sul mare
solo i gabbiani
sanno la storia
su chiostri di tufo
graffiata
tutti sapranno
l’amore e le rocce
eterne
testimoni sofferte
al pellegrino che passa
storia di cuori
traditi
smarriti
immersi nel blu
madre mare
che accogli
questi pensieri
li rifrangi
su fondali rocciosi
giochi d’acqua
eterni
come
solitudine.